Il gioco delle anfore senza la giusta rincorsa
Bambino gioca all’interno del museo e ne frantuma una. Succede in Israele, ad Haifa
Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione.
(Platone)
Il Museo Reuben ed Edith Hecht di Haifa è stato fondato nel 1984, dall’industriale di origine belga Reuben Hecht (1909-1993). Tra le sue collezioni, oltre ai dipinti moderni, vi è una nutrita raccolta di reperti archeologici afferenti la storia antica di Israele, in particolare ai periodi bizantino e cananeo.
Qualche giorno fa, durante una visita con i genitori, un bimbo di quattro anni, ha preso tra le mani un’anfora, rimasta intatta per più di tremila anni, e l’ha fatta cadere riducendola in pezzi. Da quanto risulta da indiscrezioni filtrate dalla BBC, il reperto era esposto vicino all’ingresso della struttura, non protetto da una vetrina o da altri sistemi di protezione passiva. L’oggetto, secondo quello che pare sia il racconto del padre del pargolo, avrebbe destato l’interesse del piccolo, incuriosito dal manufatto e dallo scoprirne l’agognato quanto inesistente contenuto, già evaporato da tempo. Non c’è stata dunque sincronia in quella che potremmo definire una sublimazione asincrona: cerchiamo di non essere comunque troppo severi, limitandoci a una sorta di sintesi lirica dell’accaduto. Sembra infatti che il genitore, dopo aver calmato il figlioletto, si sia attivato immediatamente a segnalare l’accaduto agli addetti della sicurezza del museo.
I danneggiamenti intenzionali di beni musealizzati sono puniti severamente dalla legge israeliana. Questa volta, tuttavia, trattandosi di un evento accidentale, se non colposo, operato da un minore, la direzione del museo sembra voler percorrere una soluzione soft, prevedendo il restauro del pezzo in autonomia e invitando nuovamente il bimbo a visitarlo con la sua famiglia. Inoltre è stata confermata l’intenzione, da parte del museo, anche tramite social network e nonostante l’accaduto, di mantenere gli attuali standard di sicurezza per quanto riguarda i beni esposti, confermando la scelta di non porre barriere protettive tra le opere e i visitatori, calcolando il rischio che possano essere danneggiate, offrendo in questo una modalità diretta di fruizione degli oggetti.
Questo evento ci ricorda come sia complesso, a qualsiasi latitudine, coniugare le strategie di sicurezza, soprattutto in termini di afflusso di persone, con la valorizzazione del patrimonio culturale esposto. Il caso riportato non è certamente annoverabile tra quelli concernenti ammanchi, danneggiamenti o atti dimostrativi, come quelli degli eco-vandali, bensì associabile a una frequentazione poco accorta, talvolta numericamente massiccia, dei contesti culturali.
Come gestire dunque le folle che si assiepano nelle sale museali?
È fondamentale disciplinare le visite per evitare danni, probabilmente privilegiando la scelta che preveda il contingentamento delle presenze, un po’ come avviene in altri contesti per contrastare il fenomeno dell’overtourism. Un’altra possibilità è data dalla tecnologia: esistono infatti sistemi di allarme e di video-sorveglianza che, integrati nelle sale, consentono di porre barriere invisibili ma esistenti e che entrano in funzione allorquando si invadono gli spazi da interdire. È necessario tuttavia operare delle valutazioni a monte, anche a livello economico, per scegliere la soluzione migliore e più adatta alla situazione, coniugando questo peculiare aspetto con i limiti infrastrutturali, gli impianti tecnologici e, soprattutto, la preparazione del personale addetto alla sicurezza e all’assistenza dei visitatori. È inevitabile, in conclusione, pervenire a un bilanciamento tra la safety e la security. La prima è attinente alle cautele a protezione delle persone e della proprietà da eventi sfavorevoli come disastri naturali, incidenti sul lavoro e di vario genere, malattie; la seconda, invece, riguarda la prevenzione verso gli atti intenzionali, conseguenze dirette e indirette comprese, a scapito delle persone e della proprietà, quali, per esempio, le aggressioni, i danneggiamenti volontari, gli incendi dolosi e i furti di varia entità. Giusto per esemplificare: l’episodio del museo di Haifa rientra nella sfera della safety; il furto al Vittoriale, per rientrare tra i confini patri (sic!), risalente a qualche mese fa, alla security. Safety e security, seppur intrecciate tra loro, differiscono, quindi, per l’elemento soggettivo, che rileva anche nella sfera penale, declinando il dolo: allorquando si palesa un intento direttamente riconducibile al danno, in termini di responsabilità individuale, viene di fatto passata la sfera del rischio, compresa nella safety, per arrivare a considerare quella della security.
Si ritorna quindi, nei fatti, a discutere di prevenzione e repressione, di costi e benefici, di responsabilità e indifferenza. Non mi dilungherò se non per un aspetto: l’educazione. Non posso che riferirmi ancora a Platone e affermare come quest’ultima sia fondamentale per far crescere cittadini responsabili, consapevoli e rispettosi dei propri diritti e di quelli altrui, così da formare quell’ente, che si chiama Stato, e farlo funzionare in maniera virtuosa, senza bisogno di ciechi, o peggio spietati, guardiani.
Opinionista