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Anniversari tondi o ricorrenze dispari, il Novecento, la Toscana granducale e quella fascista, il furto della Gioconda e la vita di Dante Alighieri, l’alluvione del 1966, la città che cambia abito e anima nel corso delle stagioni politiche e culturali: la regola è che non c’è una regola. La restituzione di conoscenza (e coscienza) è l’unico filo che lega le sei mostre virtuali che l’Archivio di Stato di Firenze nel tempo ha reso disponibili gratuitamente sul suo portale.

Alcune sono la trasposizione digitale di itinerari espositivi conclusi, come Il Granducato proiettato in Europa. Viaggi, commerci, scambi: scritture ed immagini (secc. XVII-XVIII) (22 settembre – 14 ottobre 2018), che recupera da carte geografiche, diari, guide e registri le rotte e i ricordi di mercanti, pellegrini e religiosi, ambasciatori e rampolli di nobili e ricche casate che per ragioni commerciali, spirituali, diplomatiche o d’istruzione – il Grand Tour – hanno attraversato e raccontato il vecchio continente tra Cinque e Settecento. Sguardi sulla città che cambia. Firenze negli archivi fotografici del Novecento (21 settembre – 13 ottobre 2019) invece passa in rassegna le trasformazioni architettoniche, i segni del tempo e della politica, le ideologie, i bisogni, le funzioni e i significati della città nel corso degli ultimi 150 anni. Piazza Beccaria, con il Teatro Alhambra e la sede del quotidiano La Nazione, le fasi costruttive e il declino della Casa del Balilla, lo stallo e l’accelerazione progettuale ed esecutiva, dopo l’alluvione del 1966, per la realizzazione del nuovo edificio e lo spostamento dell’Archivio di Stato, i luoghi di svago e quelli di culto, gli spazi delle istituzioni, gli ospedali e gli stabilimenti industriali, le case popolari e la relazione tra centro e periferia, tutto trova corpo in un atlante in bianco e nero di volumi, geometrie ed emozioni. Dante tra le carte (estate 2021 – gennaio 2022) è un progetto di valorizzazione di alcuni fondi e documenti originali che evidenziano, da un duplice punto di vista, la vicenda umana e culturale di Dante Alighieri. Da un lato un’analisi biografica con la rappresentazione della sua immagine e le figure femminili che hanno accompagnato la sua esistenza, il rapporto con la città e i fiorentini, l’impegno e la parabola politica conclusasi con l’esilio; dall’altro l’eredità e la fortuna dantesca nell’epoca contemporanea con i tributi che Firenze gli ha dedicato in occasione degli due ultimi centenari di nascita (1865 e 1965) e di morte (1921 e 2021).

Altri approfondimenti nascono già come mostre online. È il caso di Internati civili nella Toscana fascista (1940-1944). I documenti d’Archivio per le province di Firenze e di Prato, a cura di Chiara Renzo, assegnista di ricerca del progetto SIRIT”: Il sistema di internamento e di reclusione in Toscana 1940-1944: dalla storia ai luoghi della memoria, coordinato da Valeria Gallimi, professoressa associata del Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte, Spettacolo dell’Università di Firenze. La mappatura dei campi di concentramento e delle località di internamento libero e l’individuazione dell’ampiezza delle categorie di persone, considerate sgradite e un pericolo per l’ordine pubblico, sono state possibili solo grazie alla sinergia d’intenti scientifici e istituzionali tra l’Archivio di Stato di Firenze, il Museo e Centro di Documentazione della Deportazione e Resistenza di Prato, l’ISTORECO – Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella Provincia di Livorno, l’Associazione Per Non Dimenticare – Do Not Forget Odv Onlus e il Comune di Bagno a Ripoli.

Dopo l’alluvione. Un nuovo passo per il recupero è invece il racconto, testuale e fotografico, della campagna avviata a ridosso del cinquantesimo anniversario. Alle 5 del mattino del 4 novembre 1966 l’Arno, che già aveva rotto gli argini in più punti, allagò 40 sale poste al piano terra del grande palazzo degli Uffizi.

All’epoca l’Archivio di Stato di Firenze, con i suoi 60 km di documenti, occupava circa 250 stanze tra il primo piano, i mezzanini e il pianterreno dell’edificio. Acqua e fango sfiorarono i 2 metri. In un primo momento la stima dei danni fu di 45.000 pezzi, riconducibili a 46 fondi archivistici, di ogni natura e di qualunque epoca. Una ricognizione successiva, compiuta tra il 1970 e il 1987, alla vigilia del trasferimento dell’Archivio nella sua attuale sede, contò 70.000 unità alluvionate e oltre 11.000 quelle distrutte o disperse. Nel 2006, a 40 anni dell’evento, il 65% di tutto il materiale danneggiato era stato identificato, risanato e ricollocato. Circa 2.500 metri lineari di documenti restavano da restaurare a fronte dei 4.570 metri alluvionati conservati nei depositi. Lo stanziamento straordinario di 500.000,00 euro, che il Ministero competente ha autorizzato a fine 2015, ha permesso di individuare, catalogare e riordinare 7.726 unità archivistiche in 16 fondi. Il restauro ha invece interessato 495 unità, tra filze, registri e buste di carte sciolte, per un totale di circa 105.000 carte appartenenti a 10 fondi. Il lavoro di recupero e risanamento del patrimonio archivistico danneggiato nel 1966 non è ancora concluso.

Infine, Io sono e mi chiamo Peruggia Vincenzo. Le carte del processo al ladro della Gioconda (1913-1914). La mostra virtuale offre l’opportunità di ripercorrere la storia del furto, dalle indagini alla condanna del responsabile del gesto.

Oltre al resoconto dettagliato, che accompagna ogni sezione, è possibile sfogliare una selezione di foto, lettere e documenti dei fascicoli penali del Tribunale di Firenze. “La sentenza di appello, pronunciata il 27 luglio 1914, confermava le considerazioni dei primi giudici, ribadendo che non era possibile ritenere che Peruggia avesse agito disinteressatamente e per un fine essenzialmente patriottico, e che al momento del furto fosse pienamente responsabile. La pena venne comunque ridotta a 7 mesi e 8 giorni, che risultarono già espiati con il carcere preventivo”. La celebrità del quadro – esplosa proprio dopo il 21 agosto 1911, data di sparizione della Gioconda -, l’enigmaticità dell’espressione del volto, dell’identità della dama e del paesaggio alle sue spalle, e la fama universale di Leonardo da Vinci hanno contribuito ad alimentare fascino, ricerche e teorie. Alcune di queste, va detto, ai limiti del buonsenso da meritare uno e uno solo posto: l’oblio.

È invece proprio per sottrarre al silenzio i fatti, i nomi e le storie, che la memoria va ordinata, conservata, spolverata, esercitata. E raccontata. Ancora e ancora.

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