A cena con Marco Ventoruzzo per parlare di falsi, furti e potere

In libreria per Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi, troviamo un lavoro pensato, pesato e brillante, un bignami giuridico su concetti, strumenti, attori e inganni del mondo dell’arte che dimostra, ancora una volta, come il metodo casistico-aneddottico e una scrittura accessibile siano l’anello di congiunzione tra accademia e resto del mondo

(Tempo di lettura: 3 minuti)

Il disprezzo per l’arte e quello per i diritti dell’essere umano vanno spesso di pari passo

“L’approccio vuole essere leggero, semplice, sebbene – speriamo – non troppo semplicistico”. Con questa premessa iniziano le conversazioni letterarie di Marco Ventoruzzo, ordinario di Diritto commerciale presso l’Università Bocconi dov’è anche direttore dell’Area Law di SDA Bocconi School of Management. Avvocato, dottore commercialista, revisore legale, l’autore ha molti abiti nell’armadio e nel completo di scrittore-saggista – quelli stazzonati di lino blu li lasciamo ai pendolari diretti a Foggia – cerca subito di mettere a suo agio il lettore, assicurando pagine comode “che hanno il grado di approfondimento tollerabile nelle chiacchiere al termine di una cena”. Intanto sarebbe utile chiarirci su un punto: che tipo di cena? Una spaghettata in trattoria, con sottofondo di cori da stadio e infanti indemoniati tra i tavoli, o una esperienza extracorporea in un santuario laico certificato dalla Guida Michelin? Perché i costi cognitivi in gioco, com’è intuitivo, sono un po’ diversi.

Ventoruzzo ingrana la prima arando il solido terreno delle definizioni, una partenza sicura, come quelle che piacciono tanto in ambito accademico, su cos’è arte e cosa non lo è. E lo fa da una prospettiva originale: il metro dei dazi doganali e la giurisprudenza – non tutta, ma succosi e illustri esempi – di un secolo di contenziosi internazionali. La riproducibilità, l’artigianalità, l’utilità e l’originalità autoriale di un’opera d’arte via via entrano nel ragionamento, non per confondere le acque ma per chiarirle anche al lettore meno esperto. L’autore ci risparmia – a lui lode e gloria – una verbosa prolusione e nel primo capitolo mantiene ritmo e promessa. Nel mezzo rilancia con un “vedremo/parleremo nel prossimo capitolo”, e lo fa nel primo (p. 19), nel secondo (p. 27), nel terzo (p. 44), nel quarto (p. 73) e così via, di modo che nessuno si senta autorizzato ad abbandonare il tavolo prima che le conversazioni siano terminate. Furbetto. Così, dal perimetro delle definizioni, ci spostiamo nel campo della censura, solcando le ondante inquisitorie del civil law e del common law, tra diritto di espressione, pornografia, pudore, sentimento religioso e iconoclastia. E in un attimo ci ritroviamo a parlare di contratti d’appalto, d’opera e d’opera intellettuale o, ancora prima di aver chiesto al cameriere un po’ di pane per la scarpetta, ci immaginiamo di sfidare altri collezionisti, direttori di prestigiosi musei e teste coronate, in un’asta all’inglese, all’olandese, alla “cieca” o alla giapponese. O a giocare a carta-forbice-sasso, come avvenne nel 2005 tra i rappresentanti di Christie’s e Sotheby’s per aggiudicarsi la vendita della collezione di Maspro Denkoh: una “robina” da quasi 20 milioni di dollari. Non facciamo in tempo a posizione le posate a ore dodici che passano in rassegna i falsi di Han van Meegeren e quelli prodotti e regalati ai musei da Mark Landis, il furto della Gioconda – un tòpos -, i mosaici strappati dalla chiesa greco-ortodossa di Panagia Kanakaris e il van Gogh, appartenuto a Margarete Mauthner, collezionista tedesca di religione ebraica costretta a rifugiatasi nel 1939 in Sudafrica, che Liz Taylor acquistò all’asta da Sotheby’s nel 1963. E il dolce?

Ventoruzzo ci esonera da “allorquando” e combinati disposti, va al sodo mescolando vicende esemplari, eccezioni, contenziosi che hanno scritto la dottrina giuridica, come il parere vergato da Girolamo Broccardo per l’editore Le Monnier citato da Alessandro Manzoni, e storie più piccole, curiose e utili a restituire quella dimensione di varietà, variabilità e umanità che il diritto cerca di classificare, normare e sanzionare: “i fatti meritano più attenzione del diritto” (p. 100). Non tutti i giuristi concorderanno, ma non è a loro che questo libro, dall’orizzonte ampio e dal tratto limpido, si rivolge. D’altra parte “in tutte le vicende giuridiche vi sono elementi – diciamo – di contorno, di colore, che anche quando non sono determinanti per la soluzione di una controversia, informano l’approccio delle corti e (magari) le predispongono più positivamente verso certe interpretazioni” (p. 119), che nemmeno la difesa più avvertita si aspetterebbe.

Il lavoro di Marco Ventoruzzo ci è piaciuto. E se ha un merito – noi crediamo anche più di uno – è quello di riuscire a toccare quasi tutti gli aspetti tecnici del mercato dell’arte in uno spazio limitato. Non è impresa così banale. Inoltre ripesca libri, film e documentari dal passato più o meno remoto, dalla fortuna più o meno felice, segno di una preparazione solida: la leggerezza narrativa non è quasi mai il tratto di una superficialità intellettuale. Anzi.

SCHEDA LIBRO 

Autore: Marco Ventoruzzo

Titolo: Il van Gogh di Liz Taylor. Falsi, furti e potere: le regole del mercato dell’arte

Editore: Egea S.p.A.

Anno edizione: 2024

Pagine: 154

Prezzo: 18,00 Euro

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