Non cercare di splendere come la giada, ma sii semplice come la pietra
(Lao Tzu)
Ci ha lasciato lo scorso settembre Franco Mezzena, maestro indimenticato di almeno tre generazioni di archeologi. Il suo nome, insieme con quello di Rosanna Mollo (1938-2013), sua moglie, archeologa anch’essa, è legato indissolubilmente al complesso archeologico-monumentale di Saint-Martin-de-Corléans, ubicato alla periferia del capoluogo valligiano. Un sito unico nel suo genere, incastonato tra le Alpi Graie e Pennine, là dove, nel 25 a.C. i Romani fondarono Augusta Praetoria.
Franco Mezzena era originario di Verona (1940). Dopo aver conseguito la maturità scientifica, diventa assistente al Museo di Storia Naturale della sua città natale e proseguirà gli studi laureandosi presso le università di Padova e di Modena. Per più di cinquant’anni ha svolto attività di ricerca e di scavo in ambito preistorico in Puglia, Sicilia e Veneto anche se, come accennato, il suo contributo più significativo è certamente legato alle indagini condotte in Valle d’Aosta, dove giunse per frequentare la Scuola Militare Alpina del capoluogo. Nel 1969, insieme alla moglie Rosanna, iniziò la campagna di scavi, protrattasi per oltre venti anni, su quella che è ormai nota come l’Area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans. Parallelamente a questa attività, nel medesimo contesto geografico regionale, ha svolto nel tempo numerose ricerche e condotto altri scavi che hanno permesso di scoprire diversi insediamenti protostorici di notevole importanza, alcuni dei quali riconducibili all’antica popolazione che, di origine celtica, i Romani chiamarono Salassi.
Ma torniamo all’Area megalitica. Come accennato, le prime fasi della scoperta risalgono al giugno del 1969, quando fu stabilito, in quel contesto, di edificare alcune palazzine. Proprio durante le operazioni edili per la realizzazione delle fondamenta, che stavano procedendo in profondità, si scoprirono i resti monumentali di qualcosa di importante dal punto di vista archeologico. Non senza polemiche, la Regione Valle d’Aosta acquistò il terreno interessato e, da quel momento in poi, organizzò le diverse attività di scavo finalizzate allo svelamento dell’area e allo sviluppo, diversi anni dopo, del progetto di musealizzazione integrale dell’intero complesso. La prima testimonianza antropica presso il sito è risalente al V millennio a.C. circa, fase in cui nel terreno sono tracciati, tramite un aratro trainato da bovidi, numerosi solchi che, presenti in estensione su tutta l’area, attestano una pratica cultuale. A una fase successiva, ascrivibile al periodo Eneolitico, si riferiscono le buche di pali lignei e le numerose stele antropomorfe testimonianza di un culto antichissimo, ma similmente riconosciuto in altri contesti italiani ed europei, di complessa decifrazione. Queste stele recano, incise sulla superficie, attributi di vario genere come armi, quali asce e pugnali, ricchi pendagli e particolari pettorali, per i quali è stato possibile rintracciare tratti comuni e ricorrenti con altri contesti analoghi e collocati altrove, anche in Oriente, in relazione a testimonianze di riti particolari e perfino di sacrifici umani.
Il palinsesto archeologico di questo luogo prosegue nell’età del Bronzo, quando queste stesse stele vengono abbattute per costruire imponenti dolmen a indicare un cambio di destinazione d’uso del sito: non più area di culto ma luogo di sepoltura. Tale vocazione si mantiene anche nel corso dell’età del Ferro per essere modificata dall’arrivo dei Romani che, in concomitanza alla fondazione della colonia, occupano il territorio con insediamenti di vario genere, come la fattoria rinvenuta proprio a Saint-Martin.
In sintesi, dopo questa imponente e pluriennale campagna di scavi, seguita da altre ricerche e sondaggi minori, l’area in questione è definita oggi, scientificamente, come un sito archeologico pluristratificato, con tracce storiche che iniziano con l’edificazione della vicina chiesa romanica e proseguono con i i resti della fattoria romana, con quelli delle necropoli dell’età del Ferro e del Bronzo, con il luogo di culto dell’età del Rame e fino alle più antiche testimonianze rituali del Neolitico. La sua estensione, di oltre un ettaro, e le sue peculiarità, date anche dalla recente opera di edificazione della struttura che lo contiene, terminata alla fine del 2023, lo caratterizzano quale unicum nel suo genere: un museo che custodisce, come uno scrigno, l’intero sito e i reperti che, diversi per epoca e tipologia, in esso sono stati recuperati. Probabilmente il sito più importante di questo genere a livello continentale.
Il contenitore museale è vocato alla sostenibilità, è accessibile e funzionale alla valorizzazione del contenuto originario, ma anche cruciale nel diffondere informazioni e infondere cultura, risultanti e allo stesso propulsi dalla fruizione del sito stesso che si avvale anche di moderne tecnologie multimediali, come i visori V-R che proiettano nella realtà aumentata o la sala immersiva, con uno schermo di 180°. Un percorso di visita suggestivo e integrato tra il passato e il futuro, che scandisce le tappe temporali anche in relazione agli eventi di portata storica, che consente un viaggio nel tempo di quasi seimila anni in una modalità interconnessa e multidisciplinare: si è continuato a lavorare e a creare, laddove è stata trovata la prima pietra.
L’attività iniziata e condotta per anni da Franco e Rosanna non è perciò andata perduta, come purtroppo è accaduto in altri contesti: quella realtà, da loro scoperta, si è andata consolidando e si è ampliata e diffusa, connotando la culturalità di un’intera regione, un tassello rilevantissimo in quello che si potrebbe definire un percorso dal contenuto simbolico e dal valore identitario. È divenuta l’occasione per connettersi con altre realtà scoperte oltre confine, partendo proprio dalle testimonianze culturali, attraverso alcune iniziative di ampio respiro come la European Route of Megalithic Culture che, dal 2019, ha messo in relazione il sito aostano con le altre realtà megalitiche: un progetto dedicato e pensato per ampliare la conoscenza di questi luoghi così particolari anche attraverso lo sviluppo e la promozione di altre attività umane quali il turismo, l’artigianato e l’enogastronomia.
Si scava ancora nel sito, con tempi e modalità diverse dal passato, dove la compilazione del diario di scavo rappresentava uno strumento importantissimo per documentare passo passo i progressi della ricerca in situ: questi resoconti giornalieri, compilati da Mezzena sul sito di Saint-Martin-de-Corléans, sono costituiti da ben otto volumi. Rappresentano in questo senso una documentazione inestimabile che testimonia, oltre la serietà e il rigore delle ricerche condotte, la profonda dedizione di chi crede davvero in ciò che fa.
Opinionista