Esporre o deporre? Questo è il problema?
Riflessioni sulle mostre dei reperti archeologici recuperati e sulla loro definitiva destinazione
La casa è dove si trova il cuore
(Plinio il Vecchio)
L’ultima mostra, inaugurata in ordine di tempo, ha celebrato il recupero e la restituzione di reperti al museo di Capo Colonna (KR). È stato realizzato un percorso di visita ad hoc, che consente di apprezzare i diciassette reperti archeologici individuati nel corso di indagini condotte dal Nucleo Carabinieri TPC di Cosenza, negli stessi luoghi dove sono stati indebitamente prelevati dai tombaroli. Il titolo della mostra Nostoi, rientri condivisi, organizzata dai parchi archeologici di Crotone e Sibari, riprende un termine evocativo, che filologicamente ci rimanda ad un evento importante, risalente al 18 dicembre 2007, che ha riguardato il rientro in Italia di ben sessantasette beni archeologici di assoluto pregio, tra cui il celeberrimo Cratere di Euphronios. L’esposizione di questi preziosi reperti è stata ospitata nel luogo istituzionale più prestigioso: il Palazzo del Quirinale, sede dalla Presidenza della Repubblica. Il termine greco “Nostoi”, tratto dai poemi epici di quella straordinaria civiltà, si riferisce proprio al ritorno in Patria che, faticoso e travagliato, compirono gli eroi dopo la guerra di Troia.
Suggestioni e similitudini a parte, è fuor di dubbio che il destino dei reperti archeologici, a partire proprio dal loro trafugamento, è spesso tortuoso e a volte perfino misterioso: si riesce davvero a farli tornare a casa? Gli oggetti recuperati sono numerosi ma altrettanto, se non di più, lo sono quelli ancora da individuare e recuperare, tenuto conto dei gravissimi danni cagionati, nel corso del tempo, dagli scavatori clandestini. Abbiamo sottolineato più volte, su queste pagine, come le ricerche e gli scavi illeciti siano stati e sono tuttora una piaga, soprattutto in alcuni territori del nostro paese. Queste attività illegali non sono solo gravi di per sé, ma anche per il fatto che sottraggono alla collettività beni che dovrebbero essere fruibili, pregiudicandone così lo studio, la valorizzazione e la conoscenza su diversi piani: da quella più basica fino alla più specializzata.
I sequestri operati dalle forze di polizia, in particolare dai Carabinieri dell’Arte, sono consistenti. Spesso le indagini riferite a quelli di reperti archeologici si concludono positivamente per cui l’Autorità Giudiziaria che coordina le indagini, ovvero emette sentenza, ne decreta la restituzione allo Stato. L’art. 91 c. 1, del D. L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, stabilisce che le cose di interesse archeologico godono di un particolare regime giuridico, ad eccezione di rari casi, per cui se ne attribuisce la proprietà allo Stato. I reperti archeologici sottratti illegalmente dai contesti d’origine caratterizzati da una stratigrafia e rinvenuti ad esito di procedimenti giudiziari sul territorio nazionale sono quindi conferiti per competenza al Ministero della Cultura, che li inserisce nel patrimonio statale, garantendone la conservazione, la fruizione e la valorizzazione attraverso l’assegnazione definitiva ai propri uffici deputati, ad uopo individuati. Questa specifica procedura, sino all’entrata in vigore di recenti e ad asserite più adeguate disposizioni, è stata portata avanti con prassi amministrative che, con il nuovo assetto organizzativo del Dicastero, non risultano più attuabili. Il cambiamento infatti si prefigge anche di rendere più efficace e spedita la procedura in esame, tenendo conto di criteri di economicità da bilanciare con gli incentivi finalizzati a favorire la valorizzazione e la fruizione, nonché facilitare l’assegnazione ai territori di origine del patrimonio archeologico, anche per motivi didattici e studio.
Questo nuovo iter di assegnazione dei beni si basa, principalmente, su quattro criteri che si richiamano integralmente dalla circolare:
a. l’area di presunta provenienza dei beni, se chiaramente identificabile sulla base delle caratteristiche produttive, o comunque l’area di sequestro, generalmente coerente con il Tribunale della Repubblica presso cui il procedimento giudiziario è incardinato;
b. l’unitarietà dei nuclei di sequestro, al fine di non aggravare l’iter amministrativo ed evitare la dispersione di eventuali dati contestuali;
c. gli oneri legati alla movimentazione e al trasporto dei beni presso la definitiva sede di assegnazione;
d. le capacità degli Uffici assegnatari non solo di conservazione dei reperti archeologici, ma anche di valorizzazione e pubblica fruizione, intese nella loro accezione più ampia.
Senza voler entrare in polemiche inutili, dalla lettura della circolare e riguardo i punti di anzi richiamati, si rilevano alcune criticità che si spera vengano affrontate ed eliminate in itinere. L’area di prelievo dei reperti, spesso, non è individuabile tanto meno il contesto di produzione che, temporalmente si colloca a monte della storia del reperto stesso: si pensi ad esempio alle anfore. In epoca repubblicana ed imperiale romana, venivano prodotte in gran numero, spesso negli stessi luoghi di origine delle merci (grano, olio, vino) e riprendevano nella forma quelle di produzione greca; non di meno erano utilizzate per più viaggi, raggiungendo svariate destinazioni, perfino talvolta riempite con diverse tipologie di prodotti. Quando divenivano inutilizzabili per il trasporto, venivano riciclate e reimpiegate come materiali edili, per la creazione di drenaggi o impiegate in ambito funerario. Spesso se ne ritrova in gran numero nei pressi dei relitti sommersi. A questo punto la domanda sorge spontanea: se il sequestro di un’anfora, che presenta concrezioni marine, fosse stato effettuato a Sondrio? Quale potrebbe essere la sua collocazione migliore? Non certo al museo della montagna.
L’unitarietà dei nuclei di sequestro si presume preveda l’esigenza di non smembrare il corpus di reperti che sono stati oggetto della stessa indagine, considerandoli alle stregua di una collezione. Spesso si assiste al ritrovamento di insiemi eterogenei di reperti, comprendenti vari contesti di produzione, origine e provenienza a volte perfino estera. Si riuscirà quindi a collocarli secondo quale scelta? Privilegiando quale criterio, il maggior numero? Difficile rispondere a questa domanda in relazione soprattutto ai punti successivi.
Dando per scontato che si sia individuata con speditezza la definitiva sede di assegnazione dei reperti, bisogna tuttavia tenere conto delle ritualità tassative e soprattutto delle tempistiche del procedimento penale: indagini preliminari, udienze dibattimentali, eventuali gradi di appello fino alla Cassazione. Si stimano tempi dilatati su diversi anni, con differenze in base alle aree geografiche. Nelle more della definizione del procedimento dove sarebbero custoditi i reperti? Nel merito va tenuto altresì presente:
– il carattere temporaneo della custodia in capo agli organi di polizia giudiziaria;
– i costi derivanti dalla custodia giudiziale, attese la loro particolarità di conservazione potrebbe avvenire presso terzi ad uopo individuati, trattandosi di beni di valore archeologico, storico artistico e, non da ultimo, economico;
– le disposizioni del Codice di Procedura Penale per la custodia delle cose sequestrate (art. 259 CPP) che investono, per la materia, gli Uffici e le Cancellerie dei Tribunali.
Questi aspetti, strettamente legati alle procedure giudiziarie, vanno necessariamente coniugati con i punti della circolare in disamina per evitare lungaggini e problemi procedurali che dovranno tenere conto anche delle modalità di corretta inventariazione e schedatura, in attinenza anche agli obblighi derivanti dal servizio di custodia dei corpi di reato. Casi a parte saranno rappresentati ovviamente da reperti di accertata provenienza estera per cui sarà necessario attivare anche le procedure sul canale diplomatico.
L’orizzonte si schiude e si perfeziona con la definitiva assegnazione dei beni, che dovranno essere conservati, resi fruibili e valorizzati al meglio. Per ritornare in argomento e chiudere con la disamina: dove finiranno i beni esposti dopo che sarà conclusa la mostra al museo di Capo Colonna? Dove sono finiti i beni della mostra al Quirinale del 2008? Dove si trova il Cratere di Euphronios? Per i reperti calabresi vedremo, sarà forse un primo banco di prova per iniziare a testare le direttive della circolare ministeriale di cui abbiamo accennato. La statua di Vibia Sabina è tornata alla Villa Adriana di Tivoli. Il cratere di Asteas si trova al Museo Archeologico Nazionale Caudino di Montesarchio. Il Trapezophoros presso il Polo Museale di Ascoli Satriano. E gli altri? Qui abbiamo citato quelli più noti ma ve ne sono altri sessantaquattro tra cui il Cratere di Euphronios, ormai assurto a simbolo della lotta al traffico dei beni culturali, attualmente, dopo un passaggio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, si trova al Museo Archeologico Cerite di Cerveteri.
Sono davvero nella giusta collocazione, per usare una dizione popolare sono a casa? Non saprei davvero rispondere, certo è che si fatica ad andarli a trovare. Un’attività questa che si fa volentieri ma che non è alla portata di tutti, per svariate ragioni: mancanza di informazione su vari fronti, scarsa conoscenza, difficoltà economiche, gusti personali, sostentamenti o forse semplicemente poca affezione verso ciò che costella l’identità del nostro passato. Meglio il concerto allo stadio? A trovarlo il cantante giusto, ormai…
Sarà possibile, forse, sposando un principio di consapevolezza democratica, ricondurre i fili ingarbugliati della matassa, procedere insieme verso un’autentica ricerca, su varie dimensioni e piani, delle nostre radici culturali e coglierne così la profonda essenza, che sta alla base della nostra vita.
Opinionista