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E se il Guerriero di Capestrano, simbolo dell’Abruzzo, fosse un falso?

(Tempo di lettura: 5 minuti)

di Filippo Melli

Accadde davvero per puro caso il rinvenimento della statua del Guerriero, rinvenuta da un contadino abruzzese in località “Cinericcio”, a pochi chilometri da Capestrano?

Era il 1934: secondo quanto raccontato, Michele Castagna affondò il suo bidente per ammorbidire il terreno e sentì una pietra. Continuando a scavare, il Castagna rinvenne il busto della statua, spezzato alle ginocchia; poi trovò il grande elmo a larga tesa e, presso l’elmo, il torace acefalo di una figura femminile, la moglie del guerriero oppure la figlia (la cosiddetta Dama). Si racconta che i pezzi scolpiti restarono incustoditi sul terreno per una ventina di giorni, e che fu il Comandante della stazione dei Carabinieri a riconoscere per primo l’importanza della scoperta, facendo trasportare in paese il frammento maggiore, che nel dialetto locale fu ribattezzato “Lu mammocce”, il ragazzotto.

Fu subito avviata una campagna di scavi governativi con l’intento di recuperare le parti mancanti delle statue e di individuare le tombe relative, che si immaginavano ricchissime. Ma le attese furono deluse, perché nessuna “conteneva l’armatura certamente appartenuta al morto e, in imagine [sic], ripetuta indosso alla figura, mentre tutte erano di una sproporzionata povertà”, come riportato dalle cronache contemporanee.

Furono scavate una ventina di tombe a inumazione e cinque a cremazione, rinvenendo la necropoli di Aufinum (l’odierna Ofena), antica città dei Vestini.

I pezzi del guerriero furono comunque ritrovati e l’impressionante opera scultorea in calcare tenero locale fu ricostruita e attribuita a maestranze di origine italica del VI secolo a.C.

Alto due metri e nove centimetri, rappresenta una figura con vesti militari e le braccia ripiegate sul petto. Sulla testa un elmo da parata a disco e sul volto ha una maschera, probabilmente funebre; il torace è protetto da dischi corazza retti da corregge. Con le due mani tiene sul petto una spada e un’ascia, simboli del suo status sociale.

Il Guerriero di Capestrano in questi novanta anni “di nuova vita” ha acquisito una notorietà vastissima, tanto da divenire uno dei simboli stessi dell’Abruzzo, finendo addirittura (non senza polemiche) sullo stemma della Regione. Insieme alla sua Dama, sono oggi esposti nel Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo di Chieti, in un apposito spazio espositivo creato da Mimmo Paladino.

Eppure la statua potrebbe essere un falso. Ed è proprio un abruzzese a instillare il dubbio, anzi, la quasi certezza secondo lui. Si tratta del regista e giornalista Alessio Consorte, che con il film “Il Guerriero mi pare Strano” del 2022 instilla il dubbio e vuole aprire un dibattito circa l’autenticità della statua.

Tra le scoperte maggiori di Consorte ci sarebbe un documento che il regista dice di aver consultato che potrebbe dimostrare la falsità dell’opera. Si tratta di una lettera firmata da Antonio Ferrua, il celebre gesuita archeologo dello Stato Pontificio scomparso nel 2003 alla bella età di 101 anni. Nella lettera, indirizzata allo storico e archeologo abruzzese Fulvio Giustizia, Ferrua diceva di aver avuto notizia dal monsignor Stanislas Le Grelle, Scrittore della Biblioteca Vaticana, che la statua sarebbe stata fabbricata da un antiquario napoletano in collaborazione con lo stesso contadino Castagna, e poi spacciata per vera.

Secondo il regista, in base ai documenti in suo possesso, l’operazione sarebbe stata messa in piedi per ottenere il generoso premio di 12.500 lire introdotto da Mussolini durante il Ventennio con lo scopo di incentivare il patrimonio artistico della nazione.

Un altro elemento preso in considerazione riguarda la profondità del ritrovamento della statua. I sepolcri antichi ritrovati nel sito del Guerriero giacevano a circa quattro metri di profondità, mentre il Guerriero stesso era a meno di quaranta centimetri sotto la superficie quando si imbatté nell’aratro dell’agricoltore. Uno dei tanti particolari che non tornano secondo Consorte. Inoltre, l’analisi realizzata nel 2005 dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) sulle tracce di pigmento rinvenute sulla statua, secondo la rilettura di Consorte, non avrebbe rilevato alcun elemento derivante dall’esposizione all’atmosfera della sua superficie. Sulla statua non ci sarebbe poi traccia di fosforo, “che dovrebbe essere invece presente in quantità importante – afferma Consorte – in un blocco di marmo rimasto sepolto almeno 2200 anni”.

Leggendo le relazioni di restauro, si evince però che la superficie del manufatto doveva essere stata sottoposta a diverse operazioni piuttosto invasive, come quelle ripetute per ricavarne dei calchi, oltre a quelle di restauro, non proprio rispettose dell’opera.

Era stato “accomodato”, secondo Pico Cellini, famosissimo restauratore e cacciatore di falsi, per “rappresentare l’archetipo del guerriero italico”.

Benito Mussolini durante il raccolto, 1935

Come sottolinea anche il regista, appena due anni dopo il ritrovamento, il Guerriero fu infatti esposto a Roma in occasione delle celebrazioni del bimillenario dalla nascita dell’imperatore Augusto, e la coincidenza temporale sembra assai sospetta, fino al punto di pensare a una qualche partecipazione del regime fascista nella sua realizzazione. A ulteriore riprova di questa relazione, Consorte nel documentario si spinge fino al punto di alludere a una somiglianza fisica tra il volto del guerriero e quello di Benito Mussolini. Anzi, persino il grande copricapo sulla testa del Guerriero è attribuito, nel film, alla Battaglia del grano lanciata da Mussolini durante il regime, quando il duce si presentò con un grande cappello di paglia a tesa larga (anche se la più famosa foto fu scattata un anno dopo, nel 1935). Tali insinuazioni hanno provocato una diffida al regista da parte della direzione regionale Musei Abruzzo.

Il docu-film si avvale delle testimonianze di Danilo Mazzoleni, docente di Epigrafia classica e cristiana, allievo di padre Ferrua; e dell’architetto Dario Del Bufalo, restauratore e specialista in scultura lapidea, secondo il quale proprio gli anni Trenta in Italia furono il periodo di maggiore contraffazione di opere d’arte, soprattutto di statue in marmo.

Ce ne sono ancora molte anche esposte in musei, a volte con didascalie ambigue, come i Kouros del Metropolitan.

In definitiva Consorte sostiene che il Guerriero sia un pacco, figlio della propaganda a favore del Fascismo.

Dopo la pubblicazione del documentario, Alessio Consorte aveva avviato un’azione legale contro la Direzione Regionale Musei Abruzzo per ottenere l’accesso agli atti relativi alle analisi scientifiche fatte negli anni sulla scultura. Il regista, ostinato, avrebbe voluto fare nuovi esami con nuovi metodi scientifici, in particolare un esame XRF, una tecnica di analisi che permette di analizzare in modo non distruttivo i pigmenti presenti sulla statua e sulla pietra di cui è composta.

Nell’ottobre del 2023 la Direzione Regionale Musei Abruzzo aveva respinto la richiesta di Consorte perché le stesse analisi sarebbero già state condotte in passato. A quel punto allora il regista ha chiesto di poter vedere quelle analisi. Ma la direttrice Federica Zalabra ha respinto l’istanza poiché non era sufficientemente motivata. Di fronte a questo ulteriore diniego, Consorte ha fatto ricorso al TAR, che gli ha dato ragione e ha sostenuto che il ministero della Cultura e la soprintendenza non possono negare l’accesso agli atti sull’autenticità della statua a Consorte. In seguito alla sentenza del TAR a Consorte sono state però fornite solo alcune fotocopie di analisi XRF eseguite dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR ) nel 2005 (quelle a cui si accennava sopra).

Il regista ha quindi fatto nuovamente appello al TAR, chiedendo che venga nominato un commissario che faccia rispettare la sentenza. Nel frattempo sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della Regione, Marco Marsilio, mettendo in dubbio che qualcuno si sia “preso la briga” di costruire questo falso.

Tuttavia Consorte ha risposto a Marsilio invitandolo a un confronto sul tema: «Io chiamo il mio team di esperti, lui chiama i suoi designati, si ottiene l’autorizzazione dal ministero e si eseguono i test». Se la statua si rivelasse originale Consorte sarebbe disposto a pagare i danni per le sue presunte insinuazioni e a chiedere scusa, mentre in caso contrario ha invitato Marsilio a dimettersi. La vicenda quindi potrebbe avere degli sviluppi…

[Fonte: Art-Test Firenze]

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