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La farfalla continuerà a librarsi nei campi e la goccia di rugiada brillerà ancora sull’erba quando le piramidi saranno ormai appiattite e non esisteranno più i grattacieli
(K. Gibran)


La notizia ha fatto il giro del mondo. Il Grande Museo Egizio (GEM) al Cairo, dopo più di venti anni costellati di iniziative, finanziamenti e progetti di livello internazionale, non senza qualche difficoltà lungo il percorso di costruzione, è stato finalmente ultimato. Sorge in un contesto suggestivo, in prossimità delle piramidi di Giza, laddove, il 16 ottobre scorso, hanno aperto i battenti delle prime dodici sale, dedicate alla storia delle civiltà del “Grande Fiume Nilo”. La proposta museale si articola su un arco storico-temporale che parte dal 2649 a.C. fino al 395 d.C., ovvero dall’Antico al periodo Greco-Romano. I numeri e i costi per la sua realizzazione sono, nemmeno a dirlo, faraonici: si parla di oltre novecento milioni di euro.

Il Grande Museo Egizio del Cairo in costruzione (Foto: Djehouty – Wikipedia).

Gli antichi Egizi sono certamente argomento che attrae, e anche le coincidenze astrali e calendariali hanno evidentemente un loro peso: saranno felici gli astrologi? Anche il Museo Egizio di Torino, pur in questo anno bisesto, ha festeggiato duecento anni dalla sua fondazione, allestendo una nuova esposizione con seimila reperti, organizzata in tre sezioni dedicate ai materiali ceramici, lapidei e lignei. Un excursus storico sulla produzione artigianale, sulle varie tecniche e sull’evoluzione dell’utilizzo dei manufatti. Due realtà che sono portatrici di primati scaturenti dalla contemporaneità e dall’antichità. Il GEM è certamente il museo a tematica egizia più vasto al mondo, uno dei più grandi in termini di aree e spazi espositivi, di reperti esposti (oltre centomila) tra cui il leggendario corredo funerario del faraone Tutankhamon: si estende su un’area interna/esterna di circa 485.0000 metri quadrati. Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo al mondo dedicato alla civiltà egizia, custode di una collezione di 40.000 reperti, tra i quali spicca la tomba di Kha e Merit.

Il deserto e le architetture egizie arcaiche sono la quinta scenografica della struttura architettonica moderna che ospita il GEM; i palazzi del barocco piemontese sono invece la cornice del Museo Egizio di Torino, che ha sede nel seicentesco Palazzo dell’Accademia delle Scienze, ubicato nel centro storico del capoluogo subalpino, a pochi passi da Palazzo Carignano. Questo aspetto traccia la storia e il suo divenire, soprattutto evidenzia il solco evolutivo dei concetti legati alla formazione delle collezione e la loro valorizzazione. Il Museo torinese, al di là degli acquisti di alcuni reperti da parte di vari esponenti di Casa Savoia, è stato alimentato grazie a scavi archeologici condotti parallelamente alla campagne napoleoniche in Egitto (1798-1801). I reperti rinvenuti dalle successive spedizioni, guidate da Bernardino Drovetti (1776-1852), furono proposti, all’epoca, a tutte le teste coronate d’Europa: si trattava di oggetti ricercati e di gran moda. Dopo varie trattative furono acquistati, nel 1824, da Carlo Felice di Savoia, costituendo così la collezione iniziale dell’egizio-torinese. Una prassi, questa appena descritta, che oggi non sarebbe più consentita, anche se le campagne belliche, ahi noi, non mancano. D’altro canto il museo del Cairo, antesignano del modernissimo GEM, nacque nel 1858, per volere di Isma’il Pascià (1830-1895) e attraverso il contributo indefesso dell’archeologo di origin ifrancese, François Mariette (1821-1881). Un’istituzione di diretta emanazione governativa, creata proprio per cercare di porre fine alla depredazione di reperti egiziani. Quindi due realtà museali nate con presupposti diversi, si direbbe in antitesi.

Il Museo Egizio di Torino (Foto: Wikipedia).

Nell’attualità come sono valutate queste diverse visioni? Come si sono adattate nel tempo alla contemporaneità?
Abbiamo già affrontato il tema vertente la definizione attuale di museo (2022). ICOM, massima organizzazione internazionale in materia, è stata molto chiara in questo senso, formulando una sintesi che, tranne pochissimi casi, viene di fatto attuata e comunque tenuta in considerazione da 126 Comitati nel mondo: “Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”.

A questa nuova interpretazione, condivisibile per molti aspetti non solo di stretta pertinenza culturale, è corretto adeguarsi. È altresì utile per verificare se effettivamente i musei ne rispettino davvero lo spirito e attuino di conseguenza le più opportune strategie.

Il Museo Egizio è certamente una realtà di assoluta rilevanza nel panorama museale nazionale e mondiale. Da anni, a partire dal 2013, dopo l’inchiesta del quotidiano inglese Times, è considerato tra i primi cinquanta musei più importanti al mondo. Una crescita costante sotto tutti i profili, cominciata dal 2004 quando la gestione da pubblica venne affidata alla Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino, primo esempio italiano di compresenza privata nelle attività gestionali di un patrimonio culturale di natura pubblica. Attualmente (2023) è il settimo museo più visitato del nostro paese e ha sviluppato iniziative scientifiche e sociali di assoluta rilevanza. Il GEM invece è un’istituzione fortemente voluta da tutti i governi egiziani che si sono avvicendati negli ultimi anni: da Mubarak a quello di Al Sisi, caratterizzato da una forte componente nazionalista. Aspetto quest’ultimo connesso a una serie di eventi, in cui non è stata celata la novella “grandeur nilotica”, anzi decisamente ostentata. Si pensi all’ampliamento del canale di Suez e alla retorica comunicativa che si è sviluppata intorno al progetto e, soprattutto, alla cerimonia sfarzosa in occasione dell’inaugurazione del nuovo Museo Nazionale della Civiltà Egizia di al-Fustat (2021). In questa particolare circostanza sono stati rinverditi gli antichi fasti faraonici, con una parata colossale che ha reso omaggio anzitutto al capo del governo. Fatto che non è affatto sfuggito alla stampa internazionale essendo evidente, se non strabordante, la volontà di associare l’attuale guida politica del paese a quella degli antichi regnanti: una sorta di legittimazione storica che in passato, anche in altre latitudini, non ha portato niente di buono.

Tutti questi elementi, per certi versi critici, non hanno impedito tuttavia di attrarre investitori esteri, interessati a finanziare la costruzione del museo: sorprende che tra questi vi sia, tra i maggiori, un fondo giapponese. Il che fa presumere che gli obiettivi siano proiettati su un orizzonte di profitti legati soprattutto al settore turistico più che a quello culturale. Dato che sarebbe confermato anche dalle scelte orientate a un centralismo culturale a discapito dei musei e aree archeologiche sparse in tutto l’Egitto. Le voci dissidenti, su questo versante, sarebbero state silenziate, al pari di quelle riguardanti la movimentazione e il trasporto dei reperti da esporre.

Al netto di tutto ciò, l’obiettivo è di fatto pressoché raggiunto: il GEM è il museo più grande e importante al mondo dedicato alla civiltà egizia, scalzando così quello del Cairo, che ha ceduto appunto alcune delle sue collezioni, l’Egizio di Torino e il British Museum di Londra. Le riorganizzazioni museali sono sempre state operazioni lunghe e complesse. Anche la transizione della gestione, da pubblica e privata, dell’Egizio di Torino fu al quanto travagliata, soprattutto con riguardo al corretto censimento delle collezioni. Il tempo e i risultati lusinghieri delle affluenze dei visitatori hanno contribuito a far dimenticare tutto. Le polemiche recenti, sono state strumentalizzate, come spesso accade, a livello politico. Va detto che si è trattato di iniziative lungimiranti, di inclusione sociale, intraprese in piena autonomia dall’attuale direzione: scelte rivelatesi quanto mai azzeccate, in linea con le procedure di valorizzazione condivise a livello internazionale, che in realtà hanno ulteriormente rafforzato il prestigio del museo. Staremo dunque a vedere cosa accadrà, al di là dei dati riferiti al numero dei visitatori. Saranno soddisfatte le aspettative di ICOM? Si tratta solo di una struttura che incentiva il cosiddetto turismo mordi e fuggi più che lo sviluppo e lo scambio culturale? Sarà ancora tutto allineato alle stelle della Cintura di Orione? Sarà possibile assistere ad una sana, quanto stimolante, competizione tra il compassato e squadrato museo sabaudo e quello egiziano?

Meglio astenersi dalle pirotecniche previsioni ed essere fiduciosi, nella speranza di “non vedere templi in rovina, i luoghi sacri ridotti a ruderi e i giardini invasi da sterpaglie”.

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