(Tempo di lettura: 8 minuti)

di Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini

Così le corruscanti arme gli Achivi
Trasser di dosso a Sarpedonte, e altero
Alle navi invïolle il vincitore.
Allor l’eterno adunator de’ nembi
Ad Apollo così: Scendi veloce,
Febo diletto, e da quell’alto ingombro
D’armi sottraggi Sarpedonte, e terso
Dall’atro sangue altrove il porta, e il lava
Alla corrente, e lui d’ambrosia sparso
D’immortal veste avvolgi: indi alla Morte
Ed al Sonno gemelli fa precetto
Che all’opime di Licia alme contrade
Il portino veloci, ove di tomba
E di colonna, onor de’ morti, egli abbia
Da’ fratelli conforto e dagli amici

Omero, Iliade, libro XVI 929-943

Il Cratere di Euphronios con la morte di Sarpedonte (Museo Archeologico Cerite).

È ormai un fatto acquisito che il Cratere decorato da Euphronios e modellato dal ceramista Euxitheos sia venuto alla luce nei primi anni ‘70 a Cerveteri, in località Greppe di Sant’Angelo, per opera di un gruppo di sette tombaroli locali: Francesco Bartocci, Armando Cenere, Giuseppe Masala, Giuseppe Montaspro, Giuseppe Padroni, Adriano Presciutti e Giovanni Temperi lo dissotterrarono dopo poco meno di 2500 anni e, sembra, lo vendettero per la modica cifra di 52 milioni di lire. Fu invece acquistato nel 1971, per un milione di dollari, dal Metropolitan Museum di New York dove arrivò dopo varie peripezie, dapprima esportato clandestinamente in Svizzera e poi definitivamente approdato in America; si racconta che fu trasportato dal suo venditore Robert Emmanuel Hecht in una cassa di legno a fianco a lui su una poltrona di 1ª classe della TWA (Trans World Aerlines). Sono stati in molti ad aver avuto la possibilità di vedere per la prima volta il vaso a Zurigo, nel giardino della casa/laboratorio di Fritz Bürki che lo ha restaurato: tra questi il suo futuro acquirente Tomas Hoving, allora direttore del Metropolitan Museum, che se ne invaghì subito, come racconta nel suo noto libro “Making the Mummies Dance”. L’opera fu paragonata, per la sua squisita fattura, ad una scultura di Michelangelo o a un dipinto di Caravaggio o di Raffaello.



Il Cratere di Euphronios (part.).

E proprio questi artisti italiani hanno, inconsapevolmente, rivisitato questa deposizione pagana, in tre opere d’arte conosciute in tutto il mondo: La Pietà di Michelangelo, ora nella Basilica di S.Pietro, la Deposizione di Cristo di Michelangelo Merisi, attualmente conservata nella Pinacoteca Vaticana e la Deposizione Baglioni di Raffaello ora alla Galleria Borghese tutte a Roma.
Sicuramente questi artisti non hanno mai avuto la possibilità di vedere l’opera di Euphronios, a meno che non si riporti la scoperta del cratere a prima del XV secolo, avvalorando in tal modo l’ipotesi che il vaso fosse libero dalle imposizioni delle leggi “restrittive” del 1909 e 1939. Ma questa non è la realtà, infatti Michelangelo, Caravaggio e Raffaello si sono probabilmente ispirati a un’immagine di un sarcofago romano conosciuto nella Roma del Quattrocento, che rappresentava un altro mito, quello di Meleagro. 

La Pietà di Michelangelo (Basilica di San Pietro, Città del Vaticano).
La Deposizione Baglioni di Raffaello (Galleria Borghese).

Lodasi una storia in Roma nella quale Meleagro morto, portato, aggrava quelli che portano il peso, e in sé pare in ogni suo membro ben morto: ogni cosa pende, mani, dito e capo; ogni cosa cade languido; ciò che ve si dà ad esprimere uno corpo morto, qual cosa certo è difficilissima, però che in uno corpo chi saprà fingere ciascuno membro ozioso, sarà ottimo artefice

 Leon Battista Alberti, De pictura 

                                                                                     

Tale ipotesi è suffragata da Leon Battista Alberti, il quale nel «De pictura» introduce il tema del “braccio della morte” associato alla figura di Meleagro defunto. Coincidenza, anche questo eroe, come Sarpedonte, è cantato nei poemi Omerici, fonte di ispirazione di gran parte dell’arte classica.

La Deposizione Baglioni e il cratere di Euphronios sembrano accomunate dalle articolate vicissitudini che hanno vissuto. Il dipinto di Raffaello, commissionato da Atalanta Baglioni al fine di rievocare il trasporto del corpo del figlio dopo il suo assassinio, era collocato in una pala nella cappella di San Matteo della chiesa di San Francesco al Prato a Perugia; la pala fu trafugata un secolo dopo, smembrata e trasportata a Roma per volere del cardinale Scipione Borghese con la complicità dei frati del convento e col beneplacito di papa Paolo V, padre adottivo di Scipione Borghese. Nel 1797 poi, a seguito del Trattato di Tolentino stipulato tra Francia e lo Stato Pontificio, per volere di Napoleone il quadro fu confiscato e inviato a Parigi dove fu esposto al Louvre e tornò a Roma, dopo ben 18 anni, nel 1815. 

La Fede (Fides) la Speranza (Spes) la Carità (Caritas) di Raffaello (Musei Vaticani).

Originariamente la pala era sormontata da un’immagine di Dio benedicente, opera di Domenico Alfani ora alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, e dalla raffigurazione delle Virtù teologali, trasferita anch’essa nel 1797 a Parigi e riportata a Roma nel 1816 e oggi ai Musei Vaticani. La Deposizione di Raffaello, come già detto, è ora possibile ammirarla nella Sala di Didone presso la Galleria Borghese a Roma. Il cratere greco, invece, sepolto per oltre 2 millenni, fu trafugato a seguito di uno scavo clandestino e fu subito venduto dai tombaroli ad un noto trafficante italiano; questi lo vendette molto velocemente a Robert Hecht che lo trasferì immediatamente in Svizzera presso il suo restauratore di fiducia. Dopo il restauro fu trasferito in America e offerto in vendita al Metropolitan Museum of Art di New York che lo ha esposto nelle sue sale per più di 30 anni. 

Sono tante le storie che si leggono sul perché questo capolavoro sia stato restituito all’Italia dopo così tanto tempo, quando ormai non era più possibile rivendicarne la proprietà visti gli anni trascorsi e, soprattutto, alla luce della conclusione con un nulla di fatto delle indagini giudiziarie e del procedimento penale degli anni ’70 del secolo scorso che videro imputati proprio Hecht e i tombaroli sopra menzionati. 
Facciamo quindi un po’ di chiarezza e torniamo al novembre del 2005 quando il compianto magistrato Paolo Giorgio Ferri portò alla sbarra il trafficante americano Robert Hecht e Marion True, la curatrice delle antichità classiche del J. Paul Getty Museum dopo un’indagine durata ben 10 anni.

Il rinvio a giudizio in Italia dei due personaggi molto noti nel mondo scientifico internazionale scatenò, ovviamente, la stampa di tutto il mondo che diede particolare risalto alla notizia, giacché era la prima volta che la curatrice di un prestigioso museo americano e il più grande mercante d’arte venivano processati con l’accusa di associazione a delinquere insieme a Giacomo Medici, che però scelse il rito abbreviato e, quindi, fu giudicato con una diversa procedura. Ma la notizia provocò un vero e proprio terremoto anche tra i direttori dei più grandi musei americani che nel tempo avevano acquistato reperti di provenienza italiana attraverso Hecht, quasi sempre nella consapevolezza che si trattava di oggetti con una storia non proprio limpida e inattaccabile.

Il processo era costantemente seguito da molti giornalisti stranieri che, dopo ogni udienza, descrivevano il caso a tinte sempre più fosche man mano che venivano svelati documenti fino ad allora del tutto inediti in cui si citavano nomi, date e situazioni che coinvolgevano sempre più l’intero mondo del mercato internazionale di beni archeologici e, inevitabilmente, anche il mondo scientifico e accademico che da esso attingeva per implementare le proprie collezioni.

A processo già avviato, quindi, le principali istituzioni americane presero contatti con il Ministero dei Beni Culturali chiedendo incontri finalizzati all’avvio di trattative per la restituzione dei reperti incautamente acquistati nel tempo attraverso la mediazione di Hecht. Primo fra tutti fu proprio il Metropolitan Museum of Art di New York che, poco dopo l’avvio del processo, chiese e ottenne una riunione. La delegazione americana, formata dal direttore dell’epoca Philippe de Montebello, dal legale italiano incaricato del Metropolitan e da un’archeologa del museo, si incontrò con la delegazione italiana presieduta prima dal Ministro Buttiglione e poi dall’avvocato dello Stato Fiorilli, dal Direttore Generale per i Beni archeologici Proietti, dal Comandante dei Carabinieri TPC Zottin e da noi in quanto consulenti del magistrato Ferri che, per l’occasione, avevamo predisposto un dossier contenente tutti i materiali certamente acquisiti illegalmente dal museo americano; in quella relazione furono inseriti anche i materiali illecitamente acquistati dai collezionisti Levy-White, allora in prestito al museo americano e che, poco tempo dopo, furono restituiti all’Italia e, in fine, una sintetica appendice riguardante le prove dell’illecita acquisizione del cratere di Euphronios che fu posta al di fuori, dunque, del dossier dei materiali che si richiedevano al Metropolitan Museum, come stabilito durante una riunione preparatoria all’incontro.

L’incontro con gli americani si svolse con molta cordialità nel bel salone adiacente all’ufficio del Ministro, attorno ad un tavolo lunghissimo e con l’ausilio della traduzione simultanea. Dopo l’introduzione del Ministro la parola passò ai consulenti che illustrarono le prove raccolte sui reperti acquisiti dal museo americano che l’Italia chiedeva in restituzione, senza però citare il cratere di Euphronios, per il quale non sussistevano nuovi e più recenti elementi di prova se non quelli contenuti nel famoso “memoriale” scritto a mano da Hecht, sequestrato nel 2001 nella sua abitazione parigina, in cui raccontava le diverse fasi della scoperta, dell’acquisto e della vendita del cratere. Inaspettatamente il direttore de Montebello, dopo aver visto il dossier e ascoltato con attenzione i diversi interventi della parte italiana, nel confermare la piena collaborazione dell’istituzione da lui diretta e chiedere il tempo necessario per le verifiche sui reperti in questione, offrì spontaneamente, e con grande lungimiranza, la restituzione del cratere di Euphronios, atto che metteva al riparo da qualsiasi futura azione giudiziaria sia il museo, che sé stesso. Questi i fatti così come sono accaduti, tutti riportati nel verbale della trattativa conclusasi dopo poco tempo con la firma dell’accordo, poi con il rientro dei reperti chiesti dall’Italia e infine, nel 2008, con il ritorno del meraviglioso capolavoro di Euphronios.

Il cratere è una vera istantanea della scena tratta dal poema omerico della morte di Sarpedonte, figlio di Zeus e di Laodamia e alleato dei Troiani, fermandone addirittura il movimento. Le pose e l’anatomia dei personaggi, tutti identificati dalle iscrizioni, sono rese in modo estremamente naturalistico. Al centro della scena la rappresentazione è dominata dal corpo nudo di Sarpedonte in cui è evidente la padronanza raggiunta da Euphronios nell’interpretazione anatomica: i capelli e la barba rossicci e i fiotti di sangue, che scendono innaturalmente da destra a sinistra, ne scandiscono il movimento, indicandone il senso di marcia del trasporto, come raccontato da Omero. Ma c’è addirittura una seconda interpretazione. Visto che il sangue ha un andamento innaturale, invece di cadere nel senso della gravità ha un orientamento da destra a sinistra, potrebbe rappresentare, a livello pittorico, il momento culminate del trapasso dal “sonno” alla “morte” che, infatti, sono rappresentati uno alla sinistra e l’altra alla destra di Sarpedonte. Purtroppo questa versione non potrà mai essere suffragata dall’autore ma qualche significato dovrebbe pur avere questo scorrere del sangue in senso trasversale. 

Hermes alle spalle di Sarpedonte sovrintende l’azione e 2 guerrieri stanti la incorniciano. Sul lato opposto, poi, quattro giovani sono raffigurati nell’atto di indossare le armi prima della battaglia, forse un’allusione al destino di morte che li accomuna a Sarpedonte e che accompagna tutti i soldati degli eserciti che si ostinano a farsi la guerra.

                                        

Bibliografia                                          

Omero, Iliade, libro XVI.

F. Isman, I predatori dell’arte perdutaIl saccheggio dell’archeologia in Italia, Skira 2014. 

T. Hoving, Making the Mummies DanceInside the Metropolitan Museum of Art, Touchstone Rockefeller Center NY 1993.

G. Norman, Bob Hecht By Bob Hecht, Edited by Geraldine Norman 2014.

RAI 5, Art Night Puntata n°22 maggio 2024.

Deposizione Baglioni (9’ 20’’- 17’ 05’’).

S. Settis, Ars moriendi: Cristo e Meleagro, in Coliva A. , Raffaello. Da Firenze a Roma, SKIRA editore, Milano, 2006.

Omero, Iliade, libro IX.

D. Rizzo – M. Pellegrini, L’Arte Ritrovata. L’Impegno dei Carabinieri per il Recupero e la Salvaguardia del nostro Patrimonio Culturale «Il Patrimonio Archeologico sconosciuto, cercato e ritrovato: storie di viaggi e ritorni» pagg. 39-54 Ediz. Gangemi 2020.

P. Watson – C. Todeschini, The Medici Conspiracy: The Illicit Journey of Looted Antiquities-From Italy’s Tomb Raiders to the World’s Greatest Museums 2006.

R. Felch – J. Frammolino, Chasing Aphrodite: The Hunt for Looted Antiquities at the World’s Richest Museum 2011.

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