Archeologia. I premi per i ritrovamenti
Sul rinvenimento fortuito di un bene archeologico e il connesso diritto alla corresponsione del premio
Il mio tesssoro…
(Gollum, dal “Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien)
Non parleremo di anelli miracolosi, protagonisti di saghe letterario-cinematografiche, ma di beni archeologici e archeozoologici, anzi, per meglio dire, di preziose monete antiche e mummie animali, frutto ambedue di ritrovamenti fortuiti, seppur con traversie differenti. La normativa di tutela vigente prevede, a fronte di una scoperta fortuita di beni archeologici, mobili o immobili, atteso il presupposto di appartenenza allo Stato, un premio commisurato. La corresponsione di tale emolumento è soggetta ad obblighi in capo al proprietario del terreno e/o allo scopritore, nello specifico:
– alla presentazione di apposita denuncia entro 24 ore al Soprintendente, al Sindaco o all’autorità di pubblica sicurezza;
– alla conservazione provvisoria dei reperti sul posto, in caso di beni mobili, ovvero alla loro rimozione per assicurarne la conservazione e la messa in sicurezza fintanto che non vi provvederà l’autorità competente;
– lo scopritore, qualora non coincida col proprietario, non deve essersi introdotto nel terreno altrui ed aver svolto ricerche senza regolare autorizzazione.
Qualora sussistano i requisiti, a seguito di apposita istruttoria, il Ministero riconosce un premio non superiore a un quarto del valore del bene ritrovato attraverso le seguenti modalità:
– al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento;
– al concessionario dell’attività di ricerca;
– allo scopritore fortuito che ha ottemperato agli obblighi previsti dalla legge.
A partire dalla denuncia, o dall’istanza del proprietario del terreno, la Soprintendenza è tenuta a stabilire il valore archeologico complessivo del bene rinvenuto, individuando la connessa percentuale del premio di rinvenimento, modulata secondo specifici criteri di attribuzione. Determinata la stima complessiva e la percentuale da corrispondere nel caso al rinvenitore o al proprietario, le somme vanno comunicate al diretto interessato che deve, in ogni caso, compilare la dichiarazione di accettazione del premio, da inoltrare alla Direzione Generale Archeologia, corredata da una relazione scientifica. La corresponsione del premio di rinvenimento è subordinata all’erogazione di fondi da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La Direzione Generale, previa verifica di tutta la documentazione raccolta, entro 240 giorni dalla data di accettazione del premio, provvede ad emanare il decreto relativo al pagamento a favore degli aventi diritto. Questa è una procedura tassativa che, tuttavia, qualora se ne ravvisino i presupposti, può essere impugnata mediante ricorso gerarchico ovvero attivando la giustizia amministrativa, adendo al TAR.
Un esempio di contenzioso riguarda appunto quanto rinvenuto, nel 2018, durante gli scavi dell’ormai noto Tesoro di Como, costituito da circa mille monete d’oro romane, stipate all’interno di una brocca in pietra ollare, la maggior parte delle quali risalenti al periodo degli imperatori Onorio e Arcadio, e altre ascrivibili all’Impero di Anicio Olibrio e Leone I, nel corso del V secolo d.C. Il ripostiglio numismatico, di assoluto pregio e rarità, è stato svelato nel corso dei lavori di ristrutturazione nell’area dell’ex teatro Cressoni, destinata all’edificazione di stabili residenziali. Con sentenza depositata il 30 gennaio 2024, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, ha accolto il ricorso della società proprietaria dell’immobile, diversamente da quanto stabilito, in primo grado dal TAR Lombardia, nel 2022. Il contenzioso è scaturito dall’ammontare del premio di 370.000 euro, calcolato dalla Soprintendenza, corrispondente al 9,25% del valore di stima dei beni, su cui era stata applicata una ritenuta alla fonte del 25% del valore del premio. I giudici amministrativi di secondo grado, hanno valutato positivamente il ricorso della società che ha effettuato il ritrovamento in modalità diretta ed autorizzata in un’area di interesse archeologico. L’esito favorevole del ricorso ha previsto altresì che la ritenuta precedentemente stabilita non venisse applicata.
L’altro caso che, si vocifera, prevederà parimenti un premio di ritrovamento, si presume non altrettanto controverso come il precedente, nonostante siano trascorsi quasi due anni e di cui non si conosce ufficialmente l’ammontare, riguarda la marmotta mummificata del Neolitico, individuata da una guida alpina in Valle d’Aosta, nell’agosto 2022, sul ghiacciaio del Monte Rosa, a 4.300 m s.l.m., nota come Marmotta del Lyskamm. La datazione con il metodo del radio carbonio ha stabilito che il roditore sia vissuto circa 6.600 anni fa, con un’attendibilità del risultato ottenuto superiore al 95%. Il reperto è conservato presso il Museo di scienze naturali Efisio Noussan di Saint-Pierre (AO), in un apposito contenitore che, vero e proprio prototipo tecnologico, ne garantisce la corretta conservazione.
Tutto questo per ribadire che i ritrovamenti – repetita iuvant – devono avere carattere di eccezionalità e che le ricerche e gli scavi nel sottosuolo devono, viceversa, essere sempre autorizzati dagli organi di tutela, se non si vuole incappare in beghe giudiziarie. Tanto meno ci si può appropriare dei beni rinvenuti sotto terra, perché ciò comporterebbe il concorso con altro reato.
Dobbiamo perciò considerare i ritrovamenti fortuiti come casi virtuosi e non attività organizzate a conseguire indebiti vantaggi: da ciò infatti scaturisce il riconoscimento del premio commisurato che, oltre a monetizzare l’attività compiuta, ne evidenza l’aspetto virtuoso che, in definitiva, si prefigge e meglio si concretizza con la giusta riassegnazione dei beni allo Stato.
Opinionista