Il Villino Florio all’Olivuzza, “la fenice di Palermo”
Mirabile esempio di liberty siciliano e sigillo dell’età dell’oro palermitana, l’edificio fu devastato nel 1962 da un incendio doloso. Quattro decenni di campagne di restauro, accompagnate da complessità tecniche e aspre critiche, lo hanno restituito definitivamente alla fruizione pubblica nel 2016
Per un viaggiatore che arriva a Palermo sulle tracce de I leoni di Sicilia di Stefania Auci (Casa Editrice Nord, 2019), il Villino Florio, in viale Regina Margherita 38, è uno dei luoghi da appuntare sul taccuino. Gioiello architettonico, progettato in ogni suo dettaglio materiale e decorativo da Ernesto Basile (1857-1932) e realizzato tra il 1899 e il 1902, è l’archetipo dello splendore e del disamore di una città che a ogni suo angolo conquista e deprime. Senza soluzione di continuità.
Immerso un tempo nel parco dell’Olivuzza, una porzione lussureggiante, salubre e ricca di acqua, rifugio estivo della nobiltà palermitana in cerca di tranquillità e di refrigerio, il villino sorse all’interno di un terreno di tre ettari acquistato da Ignazio Florio senior nella seconda metà dell’Ottocento. L’edificio doveva essere una sorta di “casina” da dedicare al divertimento e al diletto. A questo scopo l’architetto progettò una costruzione che riflettesse la sua cifra, ma anche lo spirito e il gusto raffinato del committente, Vincenzo Florio. Rampollo di quarta generazione della famiglia di imprenditori, il giovane era amante dei viaggi e della velocità, grande sportivo, organizzatore di eventi e fondatore della Targa Florio, la celeberrima corsa automobilistica che si disputò per 61 edizioni tra il 1906 e il 1977.
La disposizione degli spazi in favore della luce solare, le linee sinuose e i virtuosismi neogotici, le superfici ricurve di ispirazione barocca, le capriate di impronta nordica, le torrette cilindriche mutuate dai castelli francesi, e ancora le colonnine romaniche e il basamento di bugnato rinascimentale, sono stati pensati, mescolati, tradotti e integrati per restituire un’opera di eccezionale eclettismo. I dettagli esterni, in continuità con le decorazioni, le vetrate, le stoffe e gli arredi lignei fissi e mobili realizzati delle ditte Mucoli e Golia-Ducrot di Palermo, su disegni di Basile, la cura e il pregio dei materiali, tutto doveva rappresentare la grandezza e la magnificenza di una delle più potenti famiglie italiane del tempo che, nei suoi “anni ruggenti”, ha ospitato il jet set internazionale e le altezze reali di Prussia e Germania e d’Inghilterra.
Poi sono arrivati il declino imprenditoriale, il degrado, il disastro e l’abbandono dell’immobile. Una bomba anticarro viene rinvenuta in giardino, ventiquattro ore dallo sventato attentato, nella notte del 24 novembre 1962, un incendio di origine dolosa semidistrugge l’edificio: il rogo si espande dal secondo piano e avvolge quasi tutto il mobilio, inghiotte e carbonizza i rivestimenti e l’apparato decorativo. È la fine ingloriosa di una epoca.
Nel 1975 l’Ente per i Palazzi e le Ville di Sicilia, istituito con la Legge Regionale n. 49 del 20 aprile 1967 , acquista il Villino Florio per 140 milioni di lire. L’anno successivo iniziano i primi interventi di consolidamento statico e solo nel 1981 i lavori di recupero degli elementi esterni (infissi, torretta, copertura della scala centrale) e degli interni con una ridefinizione della planimetria. L’Ente cessa la sua attività, nel 1984 la proprietà passa al Demanio della Regione e la gestione è in capo alla Soprintendenza di Palermo. Tra il 1990 e il 2015 il bene è al centro di un complesso restauro che coinvolge i paramenti murari esterni e la conservazione delle parti strutturali interne danneggiate dal fuoco, a memento del suo più triste passato. Emblematico ed enigmatico è il grande camino che accoglie i visitatori all’ingresso dell’ampio e luminoso salone: monumentale, austero, interamente carbonizzato, è di un nero totale la sua cicatrice. Colpisce il colore che, a un primo sguardo distratto, potrebbe apparire di una modernità disarmante. È solo avvicinandosi che la ferita è presenza, danno e testimonianza.
Una ricerca d’archivio e un attento studio della documentazione fotografica, dei colori, dei soggetti naturali e delle forme, hanno permesso la riproduzione dei tessuti per i rivestimenti interni e delle passamanerie. Il motivo dell’ippocastano, che decora il salone, insieme al giglio, al papavero, al melograno e al’iris, sono tra i temi più ricorrenti del liberty italiano, che rintracciamo anche nelle pitture di Ettore De Maria Bergler, nelle seduzioni di Alfons Maria Mucha e in altre architetture di Ernesto Basile.
Appartengono dunque a questa campagna di restauro i rifacimenti in stile delle tappezzerie, di alcuni arredi mobili, come i divani, delle boiseries e della vetrata policroma del salone. L’ultima fase, condotta dalla Soprintendenza, dal Centro del restauro e dal Centro di progettazione dell’Assessorato regionale ai Beni culturali, ha interessato il giardino storico: un controverso “ripristino filologico”, progettato dall’architetto Marilù Miranda, ha allargato e desertificato il vialetto d’accesso e raso al suolo 48 piante, tra piccola, media e alta dimensione. Il biasimo degli esperti si è consumato sui social.
Il 10 gennaio del 2016 il Villino Florio è stato definitivamente restituito alla fruizione pubblica e dal 2020 è gestito dal Centro regionale per l’Inventario, la catalogazione e la documentazione dei beni culturali. Di quella natura rigogliosa oltre il caos cittadino, del silenzio e del trionfo di viali alberati e piante esotiche, è rimasto ben poco: la memoria e gli scatti dell’epoca. Il fascino delle linee, l’eleganza dei volumi, delle forme e dei tessuti sono lì a incantare anche i più digiuni di Art Nouveau, ma non vi aspettate più di qualche pannello e una breve descrizione. La visita è libera, alla modica cifra di 4 euro il biglietto interno e 2 euro il ridotto, e gratuita la prima domenica del mese. Al numero di telefono, indicato sul sito del Comune di Palermo, risponde il ronzio di un fax, all’indirizzo email un messaggio automatico.
Non disperate: dal martedì al sabato (festivi esclusi), la prima e la terza domenica del mese, “la fenice di Palermo” vi attende dalle 9:00 alle 13:00.
Dopo la laurea a Trento in Scienze dei Beni Culturali, in ambito storico-artistico, ho “deragliato” conseguendo a Milano un Perfezionamento in Scenari internazionali della criminalità organizzata, un Master in Analisi, Prevenzione e Contrasto della criminalità organizzata e della corruzione a Pisa e un Perfezionamento in Arte e diritto di nuovo a Milano. Ho frequentato un Master in scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Colleziono e recensisco libri, organizzo scampagnate e viaggi a caccia di bellezza e incuria.