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Implicazioni economiche e culturali del traffico illecito di beni culturali, e il ruolo dei restauratori

Rubrica Michela Contessi
(Tempo di lettura: 6 minuti)

[English text below]

Premessa

Un anno fa, ho partecipato a un’importante operazione di sequestro di opere d’arte con i Carabinieri del TPC. Durante l’intervento, ho scoperto che molti dipinti erano stati restaurati non per scopi conservativi, ma manipolati, probabilmente per facilitarne la vendita sul mercato nero o per renderne più difficile il riconoscimento. Questo episodio mi ha spinto a riflettere sul ruolo dei restauratori, spesso coinvolti, talvolta inconsapevolmente, nel traffico illecito di opere d’arte. Essendo anch’io restauratrice, ho deciso di approfondire questo fenomeno per fornire ai miei colleghi strumenti adeguati per affrontare e contrastare tale problema nel settore.

Un caso di studio

Uno dei casi più emblematici è quello di Jonathan Tokeley-Parry, un restauratore che contrabbandò oltre 3.000 reperti egiziani travestendoli da riproduzioni. Tra questi, una testa scolpita del faraone Amenhotep III, che venne alterata con materiali plastici e pittura per sembrare un souvenir economico. La testa fu poi contrabbandata in Svizzera e venduta a Frederick Schultz per 1,2 milioni di dollari nel 1993. Durante il suo processo per commercio di oggetti rubati nel 1997, Tokeley-Parry dichiarò che l’inganno era destinato a preservare i pezzi anziché distruggerli. “Finché questi oggetti sono dove c’è potere, e dove c’è ricchezza, saranno curati,” disse alla corte di Londra. Tuttavia, le corti britanniche ed egiziane non erano d’accordo, e il giudice Timothy Pontius lo condannò, affermando: “Hai deliberatamente prostituito [il tuo] talento per motivi del tutto egoistici.”

Jonathan Tokeley-Parry

Ogni anno, migliaia di opere d’arte attraversano confini senza documentazione, distruggendo le tracce di civiltà e alimentando attività illecite. In questo contesto, i restauratori si trovano spesso in una zona grigia, un’area ambigua dove etica, legalità e responsabilità professionale si intrecciano.

La “zona grigia”: complessità e implicazioni

La “zona grigia” è un concetto che descrive una situazione di incertezza e ambiguità che spesso caratterizza il settore del patrimonio culturale. Si tratta di un ambito in cui difficoltà etiche, legali e professionali si intrecciano, creando una condizione di confusione che può compromettere la gestione adeguata delle opere d’arte e dei beni culturali. Questa zona di incertezza nasce da una serie di fattori interconnessi, che vanno dalla mancanza di linee guida precise a situazioni legate alla provenienza di alcune opere, fino alla possibilità di manipolazioni tecniche che complicano il lavoro di identificazione e conservazione.

Uno degli aspetti più problematici di questa zona è la mancanza di protocolli chiari, che genera un vuoto normativo e lascia spazio a interpretazioni soggettive, spesso contrastanti, che possono influire sulle decisioni professionali. L’assenza di standard e linee guida condivise può portare a situazioni in cui le scelte operative non sono sempre basate su criteri univoci e trasparenti. Inoltre, l’incertezza sulla provenienza delle opere rappresenta un altro elemento critico: ci sono casi in cui le opere su cui si interviene non sono completamente tracciabili, e la difficoltà nel verificarne l’origine legittima può rendere difficile evitare il coinvolgimento, anche non intenzionale, in traffici illeciti. La manipolazione tecnica delle opere è un altro fenomeno che alimenta la “zona grigia”, in quanto molte opere vengono alterate deliberatamente per eludere i controlli, rendendo complessa la loro autenticazione e aumentando il rischio di gestione impropria.

In definitiva, la “zona grigia” non riguarda solo una mancanza di informazioni, ma anche un ambiente in cui la confusione e l’ambiguità possono avere gravi ripercussioni sulle decisioni prese da chi opera nel settore del patrimonio culturale.

Conseguenze del mercato illegale

Il traffico illecito di beni culturali ha effetti devastanti a vari livelli:

  1. Danno al patrimonio culturale: La circolazione di opere rubate danneggia l’autenticità del patrimonio, limitando l’accesso e la fruizione del pubblico.
  2. Perdita di identità culturale: La dispersione di reperti e opere indebolisce la memoria storica e l’identità culturale di intere comunità e civiltà.
  3. Criminalità organizzata: Il traffico di beni culturali alimenta attività illegali, come il riciclaggio di denaro e il finanziamento di gruppi terroristici.
  4. Distorsione del mercato legale: La presenza di opere falsificate o rubate mina il valore delle opere autentiche, danneggiando l’intero mercato delle arti.
  5. Danno alla reputazione dei professionisti: Il coinvolgimento, anche involontario, in operazioni illecite può compromettere la credibilità e la fiducia nel settore.

Conclusioni

Affrontare le sfide legate al traffico illecito di beni culturali richiede un approccio multidisciplinare, che combina competenze tecniche, conoscenza etica e la promozione di pratiche di controllo sempre più trasparenti. Sensibilizzare il settore e adottare soluzioni efficaci è fondamentale per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale globale.

Economic and cultural implications of illicit trafficking in cultural goods, and the role of restorers

Introduction
A year ago, I participated in an important operation of seizure of works of art with the Carabinieri of the TPC unit. During the surgery, I noted that many paintings had been restored not for conservation purposes but manipulated, probably to facilitate their sale on the black market or to make it more difficult for them to sell recognition. This episode prompted me to reflect on the role of restorers, often involved, sometimes unknowingly in the illicit traffic of works of art. Being also a restorer, I decided to provide my colleagues with the appropriate tools to tackle and counter this problem in the field.

A case studies
One of the most emblematic cases is that of Jonathan Tokeley-Parry, a restorer who smuggled over 3,000 Egyptian finds disguised as reproductions. Among them, a sculpted head of the Pharaoh Amenhotep III, which was altered with plastic materials and paint to look like an souvenir. The head was then smuggled into Switzerland and sold to Frederick Schultz for $1.2 million in 1993. During his trial for trading in stolen items, in 1997,  Tokeley-Parry stated that the deception was intended to preserve the pieces rather than destroy them. “As long as these objects are where there is power, and where there is wealth, they will be cared for” he said at the court in London. However, the British and Egyptian courts disagreed, and Judge Timothy Pontius condemned him, stating: “You have deliberately prostituted [your] talent for entirely selfish reasons.

Every year, thousands of works of art, cross borders without documentation, destroying traces of civilization and fuelling illegal activities. In this context, restorers are often in a grey area, an ambiguous area where ethics, legality and professional responsibility intertwine. 

The “grey area”: complexity and implications 
The “grey area” is a concept describing a situation of uncertainty and ambiguity that often characterises the cultural heritage sector. This is an area where ethical, legal and professional difficulties are intertwined, creating a condition of confusion that can compromise the proper management of works of art and cultural heritage. This area of uncertainty is the result of a series of interrelated factors, ranging from the lack of precise guidelines to situations linked to the origin of some works, the possibility of technical manipulations that complicate the work of identification and conservation. 

One of the most problematic aspects of this area is the lack of clear protocols, which generates a regulatory vacuum and leaves room for subjective interpretations, often conflicting, which can influence professional decisions. The absence of shared standards and guidelines can lead to situations where operational choices are not always based on clear, transparent criteria.

In addition, uncertainty about the provenance of works of art is another critical element: there are cases where the works being tampered with are not fully traceable, and the difficulty in verifying their legitimate origin can make it difficult to avoid involvement, unintentional, in illicit trafficking. The technical manipulation of art works is another phenomenon that feeds the “grey zone”, since many works are deliberately altered to evade controls, making their authentication complex and increasing the risk of improper management.
Ultimately, the “grey area” is not only about a lack of information but also an environment where confusion and ambiguity can have serious repercussions on decisions taken by those working in the field of cultural heritage.

Consequences of the illegal market
The illicit trafficking of cultural goods has devastating effects at various levels:

  1. Damage to cultural heritage: The circulation of stolen works damages the authenticity of Heritage, limiting public access and use;
  2. Loss of cultural identity: The dispersion of finds and works weakens historical memory and the cultural identity of entire communities and civilizations;
  3. Organised crime: Trafficking in cultural goods fuels illegal activities, such as money laundering and financing of terrorist groups;
  4. Distortion of the legal market: The presence of falsified or stolen works undermines the value of the works;
  5. Damage to the reputation of professionals: Involvement, even unintentionally, in operations Illegal practices can undermine the credibility and confidence of the industry.

Conclusions
Tackling the challenges of illicit trafficking in cultural goods requires a multidisciplinary approach, which combines technical expertise, ethical knowledge and the promotion of increasingly transparent. Raising awareness and adopting effective solutions is essential to protect and safeguard the global Cultural Heritage.

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