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Il caso del Trittico di Leonforte: tra aste, attribuzioni dubbie e il limbo dei freeport svizzeri

Beato Angelico copertina
(Tempo di lettura: 6 minuti)

di Carlo Eligio Mezzetti, avvocato

Giganteschi musei segreti spuntano oggi in terre di nessuno che eludono le sovranità nazionali e sbarrano l’accesso al pubblico. Sono i luoghi di stoccaggio esentasse, dove le opere ‒ pur restando sigillate nelle loro casse ‒ sono usate come valuta alternativa per la circolazione di capitali miliardari da una sponda all’altra del globo. Un’arte senza frontiere intrappolata in zone di transito permanente; un’arte immune da tasse ma non dall’obbligo di essere una risorsa, o una facciata.

Così descriveva i freeport l’artista contemporanea Hito Steyerl nel suo Duty Free Art, L’arte nell’epoca della guerra civile planetaria, pubblicato in Italia nel 2018 da Johan&levi.

Oggi che il Trittico di Leonforte è messo in un’asta pubblica in Svizzera fissata per l’11 marzo prossimo come Beato Angelico con una base d’asta di 5.000 franchi al Tribunale di Mendrisio, sezione esecuzioni e fallimenti, dopo essere rimasto sepolto quasi 10 anni nel freeport di Chiasso, servirebbe una ristampa e ben più di un’appendice. 

Nonostante, infatti, nel Messaggio concernente la Convenzione UNESCO 1970 e la legge federale sul trasferimento internazionale dei beni culturali (LTBC) del 21 novembre 2001 si legga “la Svizzera è una delle principali piazze mondiali del commercio di oggetti d’arte. Tuttavia, essa è sistematicamente sospettata di fungere anche da piattaforma per il traffico illegale. L’importazione e l’esportazione di beni culturali non sono infatti disciplinate a livello federale e il nostro Paese non ha nemmeno aderito a strumenti internazionali volti a combattere il trasferimento illecito di beni culturali” e la Legge Federale sul Trasferimento Internazionale dei Beni Culturali (LTBC) del 20 giugno 2003 sia entrata in vigore il 1 giugno 2005, al bando della vendita pubblica non è allegato l’attestato di libera circolazione che attesta l’origine italiana e riporta l’uscita come copia di  un anonimo  del XIX secolo del valore di €  20.000, per l’Ufficio di Esecuzione svizzero “la questione dell’attestato di libera circolazione non rientra tra le loro competenze e il bene sarà venduto senza garanzie”.

Il dipinto è stato inserito in un’asta pubblica come aliud pro alio, ossia come opera attribuita al Maestro Beato Angelico dal Prof. Rolando Bellini, il quale però non rientra tra gli esperti di riferimento dell’artista. Questi ultimi concordano invece sul fatto che si tratti di una copia tardo-cinquecentesca dell’originale custodito alla Gemäldegalerie di Berlino, con un valore di mercato tra i 100.000 e i 150.000 €, come già stimato dalla Casa d’Aste Christie’s nel 2020 a richiesta del “gestore” del dipinto.

Il bando non dice che l’opera è di provenienza italiana ed è sprovvista di un corretto attestato di libera circolazione, come prescritto dall’art. 68 del D.Lgs. 42/2004, risalendo l’esecuzione ad oltre 70 anni ed essendo il valore superiore a € 13.500, riportando, invece, quello rilasciato dall’Ufficio Esportazioni di Pisa del 5 agosto 2016, i cui motivi di chiusura sono ben noti, una erronea datazione al XIX° secolo. 

Tornano a mente le ultime volontà tradite di Giuseppe Branciforti, principe di Leonforte: “Voglio che […] si facci una cappella bella e pulita con entagli dell’alabastro che si trova in quel mio territorio dove nell’altare voglio che si metta il mio antico e prezioso quadro del Giudizio Universale […] con cautela e precauzioni tali che il tempo non lo maltratti e destruda che per questo effetto” (Archivio di stato di Palermo, fondo Trabia, notaio Leonardo Miceli, Testamento di Giuseppe Branciforti, Palermo 4 giugno 1698) che nel 1698 disponeva  sul  Trittico del Giudizio Universale, un dipinto in tre pannelli dipinti su legno a tempera e fondo oro, versione molto fedele di quello di Beato Angelico esposto alla Gemäldegalerie di Berlino e per secoli da molti ritenuto l’originale. 

L’opera, infatti, è documentata per la prima volta nel 1624 nell’inventario dei beni del nobile Fabrizio Branciforti e probabilmente in precedenza era di proprietà di Urbano VIII, poi passata per successione a Nicolò Placido Branciforti, fondatore e principe di Leonforte, e indi donata nel 1628 al figlio Giuseppe Branciforti, il quale la collocò nel Convento dei Padri Cappuccini di Leonforte. 

La tavola è rimasta lì per circa trecento anni fino al 1907 quando gli eredi del conte Giovan Calogero Li Destri, che nel 1852 aveva comprato dalla famiglia Branciforti tutti i beni a Leonforte, lo rimosse dalla chiesa per venderlo. I frati leonfortesi, tuttavia, ne rivendicarono la proprietà e in data 2 aprile 1910 la Sovrintendenza per i monumenti della provincia di Catania e Siracusa fece notificare agli eredi Li Destri la dichiarazione di interesse artistico particolarmente importante.

Il vincolo fu revocato nel 1975, poiché l’opera venne erroneamente ritenuta una copia ottocentesca del trittico berlinese, ipotesi smentita dalle analisi scientifiche.

Libera dal vincolo nel 1987, la tavola venne messa all’asta dalla Christie’s a Roma ma venne bloccata la vendita dal Nucleo Tutela Patrimonio a seguito della denuncia dei frati che rivendicavano la proprietà ma che, tuttavia, non riuscirono nel loro intento, infatti, l’anno successivo il trittico fu nuovamente messo all’asta e nel 1990 venduto in trattativa privata ad un collezionista romano.

Dopo alcuni anni, quest’ultimo, vittima di un tracollo economico, fu costretto dal bisogno a mettere in vendita il dipinto attraverso una galleria ”svizzera”, gestita da un cittadino italiano che gli offrì un anticipo sul prezzo di vendita, come sovente accade. 

L’anticipo venne definito come corrispettivo per la concessione dell’esclusiva sulla vendita nell’ambito di un contratto sottoscritto a Firenze in cui alla galleria che ha sede all’interno del freeport di Chiasso era riconosciuta una provvigione del 10% sul prezzo di vendita, una success fee, nonché il diritto al rimborso delle spese sostenute per la valorizzazione, di cui € 30.000 dichiarati in atto quale costo per la pratica di esportazione da curarsi da parte di una LTD inglese aperta due mesi prima e ora sciolta.

In 9 anni il gallerista non ha mai esposto l’opera, non ha fatto studi attributivi, non ha trovato un acquirente; ha certamente, inoltre, coinvolto altri diversi e noti operatori del settore di Chiasso, non avendo le competenze per occuparsi della valorizzazione dell’opera, ma ha soltanto interpellato nuovamente la Christie’s che si era occupata del dipinto per conto degli Eredi Li Destri e del povero collezionista.

Oggi, però, la galleria dichiara di aver sostenuto spese per oltre 700.000 franchi svizzeri. 

Non essendo risorto il Beato Giovanni da Fiesole, detto l’Angelico, per occuparsi in prima persona del restauro della tavola e della controversa attribuzione, quel credito appare quanto meno trascendentale, considerato anche il fatto che è stata persino ignorata la proposta attributiva di Andrea De Marchi a Scipione Pulzone, pubblicata da Gerardo de Simone nel volume Il Beato Angelico a Roma 1445-1455  nel 2017.

È persino inutile precisare che la galleria svizzera è l’unico creditore della procedura esecutiva avviata contro il collezionista, deceduto lo scorso dicembre, per ottenere soddisfazione coattiva per le “spese” asseritamente sostenute.

Prima della morte il collezionista ha ceduto al figlio la proprietà dell’opera a fronte dell’accollo dei costi della causa in Svizzera per tentare di recuperare il dipinto, pari a circa €  200.000, e si è determinato a sporgere denuncia per usura in territorio elvetico contro il gallerista, apparendogli palese che alcuna attività di valorizzazione a fini di vendita era mai stata fatta e la reale natura con cui era stata concepita l’operazione per profittarsi di lui e del suo sogno di veder tornare il Trittico attribuito all’Angelico. 

La denuncia, come troppe in materia di Beni Cultuali, è stata archiviata.

Oggi il figlio unico proprietario ha contestato l’inadempimento e la risoluzione del contratto alla galleria e non ha neppure avuto risposta, si è, quindi, rivolto all’Ufficio Federale per i Beni Culturali di Berna per fermare l’asta e ottenere la restituzione della tavola di sua piena proprietà ma anche qui non ha trovato risposta.  

Il caso del Trittico si aggiunge alla lunga lista di controversie giudiziarie legate ai freeport svizzeri, tra cui quello del capolavoro di Modigliani Uomo seduto con bastone, trafugato dai nazisti e riemerso dopo i Panama Papers, quello dei reperti archeologici illecitamente scavati e venduti da Giacomo Medici, quello degli Archivi Modigliani e il più noto che ha visto coinvolti Yves Bouvier e l’oligarca russo Dmitrij Rybolovlev, il quale accusa il dealer, già proprietario del freeport di Ginevra Natural Le Coutre di avergli fatto pagare quasi 1 miliardo di dollari in più per una serie di acquisti di opere d’arte tra cui dipinti di Modigliani, Picasso, Klimt e, il famoso,  Salvator Mundi, un Leonardo da Vinci (*con asterisco).

Da tempo, invece, la Financial Action Task Force (FATF) ha segnalato i freeport come “money laundering and terrorist financing threat”, e la World Customs Organization (WCO) ha pubblicato una ricerca sui pericoli dei freeport segnalando un “low-level customs involvement”. Il Parlamento europeo ha persino richiesto la loro abolizione per “criminal vulnerability”

Si parla di riciclaggio, truffe e appropriazioni indebite, ma a quanto noto, questo sarebbe il primo caso di usura commessa nell’ambito di un’operazione di circolazione internazionale di opera d’arte anche se il sommo poeta aveva già messo l’usuriere, nel terzo girone del settimo cerchio dell’Inferno, poiché appartenenti a una categoria di “violenti contro Dio, natura e arte”[2] e ci pare senz’altro un caso in cui il proprietario possa senz’altro avviare  un procedimento di revisione del vincolo ex art. 128 comma 3 del D. Lgs 42/2004 chiedendo di rinnovare il procedimento di dichiarazione per elementi di fatto sopravvenuti non noti al momento della revoca del vincolo avendo dimostrato le analisi scientifiche ce l’esecuzione del Trittico si colloca tra XV e XVI secolo.

Bienvenus dans “le port des brumes”[3].

Note

[1] Maestracci v. Helly Nahmad Gallery Inc.

[2] L’episodio occupa i vv. 43-78 del canto XVII.

[3] G. Simenon, Il porto delle nebbie, Adelphi 1998.

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