Site icon The Journal of Cultural Heritage Crime

Al MANN seicento reperti raccontano la lunga battaglia contro i predatori di reperti archeologici

(Tempo di lettura: 3 minuti)

Sono oltre seicento i reperti che, per la prima volta, emergono dall’ombra dei depositi per raccontare una storia di crimini, indagini, riscatti e rinascite. Manufatti provenienti dalla Campania e da diverse regioni del Mezzogiorno d’Italia, saranno esposti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli a partire da venerdì 11 aprile, nell’ambito della mostra Tesori ritrovati: storie di crimini e di reperti trafugati, che resterà aperta al pubblico fino al 30 settembre 2025.

Dietro ogni oggetto esposto si cela una vicenda complessa e spesso drammatica: tombe saccheggiate, scavi clandestini, vendite sottobanco, traffici internazionali e indagini giudiziarie che si sono protratte per anni, quando non decenni. Alcuni reperti erano già stati imballati per essere spediti all’estero, destinati a collezioni private o ad aste di prestigio, altri sono stati recuperati grazie alla segnalazione di cittadini o grazie al lavoro paziente dei Carabinieri del Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale, in stretta sinergia con la Procura della Repubblica di Napoli.

L’idea della mostra nasce da una lunga attività di studio e valorizzazione che il MANN porta avanti da tempo, e che ha trovato nuova linfa sotto la direzione di Paolo Giulierini. È in questo contesto che si è sviluppato anche il progetto “Il Tesoro della Legalità – Luce dai depositi del MANN”, una delle più significative operazioni culturali volte a restituire dignità e visibilità a migliaia di reperti rimasti troppo a lungo silenziosi. Si stima che siano oltre 15.000 gli oggetti conservati nei depositi del museo, provenienti da sequestri effettuati a partire dalla fine degli anni Sessanta. Il lavoro congiunto tra l’Istituzione museale, l’Università Federico II e gli apparati giudiziari ha permesso, negli ultimi anni, di ricostruire la storia giuridica di molti di questi oggetti e di restituirli – almeno simbolicamente – alla collettività.

La mostra, allestita nelle sale temporanee al terzo piano del museo, accompagna il visitatore in un percorso che va oltre la semplice esposizione di reperti. L’intento non è solo quello di mostrare gli oggetti ritrovati, ma di raccontare come e perché questi beni siano stati sottratti, e soprattutto quale valore abbiano per la memoria collettiva. Si passa così da reperti etruschi e greci a oggetti dell’età imperiale romana, da ceramiche apule a mosaici campani, fino a frammenti medievali e paleocristiani. Oggetti che erano destinati a essere invisibili, privati del loro contesto originario e della loro storia, ma che oggi tornano a parlare grazie a una narrazione che intreccia archeologia, diritto e coscienza civile.

L’esposizione si apre con una riflessione sul concetto di “perdita irreparabile”, ovvero su quei beni trafugati che non sono mai stati recuperati. È un monito, ma anche una spinta all’azione. Da lì si snoda una narrazione che mette in luce l’aspetto umano e investigativo del recupero: le inchieste, le intercettazioni, i sequestri nei porti o nei caveau di gallerie d’arte. Alcuni casi sono noti, come quello delle ceramiche vendute illecitamente a musei statunitensi e poi rientrate in Italia dopo lunghe negoziazioni, altri meno, ma altrettanto emblematici per comprendere le dinamiche del saccheggio.

Particolarmente significativa è anche la sezione dedicata ai falsi, con oggetti che – pur mimando l’antico – sono frutto di produzioni moderne create per ingannare il mercato. In questo caso, l’esposizione diventa quasi didattica, svelando i metodi scientifici con cui gli studiosi distinguono l’autentico dal contraffatto.

Non mancheranno attività a corredo della mostra: visite guidate, laboratori per le scuole, incontri con archeologi, magistrati e investigatori, tutti volti a sensibilizzare il pubblico – soprattutto i più giovani – sul valore della legalità e sul dovere della tutela del patrimonio culturale.

Exit mobile version