Modigliani: il pittore, il mito, la menzogna. Un documentario tenta di salvarlo. O di condannarlo per sempre

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Roma, Palazzo Grazioli. La sala conferenze nella sede della Stampa Estera è piena. Ci sono giornalisti, esperti, forze dell’ordine in borghese. Molti gli assenti illustri. Si presenta un documentario, sì, ma non un documentario qualsiasi: è una sfida. Una battaglia. Un atto d’accusa e, forse, anche un’estrema assoluzione.

Si intitola Modigliani e andrà in onda su San Marino RTV dall’11 aprile, per 10 puntate. Lo firmano Paolo Alberti e Valentina Antonioli, che promettono di fare giustizia: togliere la polvere dei cliché, il sapore stantio delle leggende da rotocalco, per mostrare finalmente l’uomo, il vero Amedeo Modigliani.

Modigliani non è mai stato un pittore comodo. Non lo è stato in vita, non lo è adesso, cent’anni dopo la sua morte. Era un uomo impastato di fragilità e furore. Un poeta senza versi, che dipingeva come si respira, come si tossisce, come si piange. E come tutti gli uomini pericolosi – perché liberi – è stato tradito. Prima dalla vita, poi dalla storia. Forse anche da qualche amico.

Il documentario vuole restituirgli almeno il rispetto. E vuole farlo con rigore e passione, portando con sé documenti inediti, oggetti mai visti, opere diverse da quelle icone a cui la moda ci ha abituati: quei volti allungati, i colli flessuosi, le muse silenziose. Racconta anche il laboratorio dell’artista, la sua tecnica, il suo rapporto con la materia. Lo fa attraverso esperti: Paolo Bensi per la parte pittorica, Giovanni Giovannelli sul restauro, Davide Bussolari sull’analisi diagnostica. C’è anche l’avvocata Gloria Gatti, che racconta la battaglia legale intorno all’Archivio dell’artista, oggi in parte sotto sequestro al Porto Franco di Ginevra.

A guidare il racconto è Paolo Mieli, uomo di cultura e penna raffinata. Mieli non ha esitazioni: “La vita di Modigliani è una favola distorta, ma alla quale tutti vogliono partecipare. Un thriller in cui l’inconscio gioca ruolo intrigante. Un gorgo, in cui realtà e finzione ballano strette. Verità e bugia fanno comodo uno all’altra, si susseguono e si fondono nella leggenda immaginaria e nel mito dell’artista romantico”. Ed è vero. Ogni pennellata, ogni amore, ogni gesto dell’artista sono stati fraintesi, riscritti, inghiottiti nel mito romantico che ha incessantemente alimentato l’immaginario collettivo.

A raccogliere quel mito e farne materia di pensiero c’è Corrado Augias, che non è solo un intellettuale: è un sapiente, uno di quelli veri. Di quelli che non parlano per sentito dire, ma che approfondiscono, si documentano, attingono alle fonti. Autore di Modigliani. L’ultimo romantico, pubblicato da Einaudi, ha definito il pittore “un nuovo romantico sicuramente per alcuni aspetti della sua vita perché è con il romanticismo che comincia la figura emblematica dell’artista maledetto, opposto alla società borghese, immerso nella vita ribelle, tumultuosa, possibilmente infelice, cosa che era sconosciuta sia all’artista classico e neoclassico. Un nuovo romantico sicuramente per alcuni aspetti della sua vita perché è con il romanticismo che comincia la figura emblematica dell’artista maledetto, opposto alla società borghese, immerso nella vita ribelle, tumultuosa, possibilmente infelice, cosa che era sconosciuta sia all’artista classico e neoclassico. Ecco, il romanticismo a questo aspetto dell’artista, definito come corpo estraneo e spesso ostile”.

E Modigliani muore davvero ai margini. Solo, povero, devastato dalla tubercolosi. Ma la morte, per lui, non sarà mai personale. È collettiva. Il giorno dopo, la sua compagna, Jeanne Hébuterne, incinta, si lancia dal quinto piano. Una tragedia greca che neppure Sofocle avrebbe osato immaginare.

La parte più pregnante della conferenza stampa non è emotiva. È scientifica. È un duello che ha il sapore di un processo. L’imputato? Un pigmento: il Bianco di Titanio. Secondo alcuni, non poteva essere stato usato da Modigliani, perché entrato in commercio dopo la sua morte. E dunque? Alcune sue opere sarebbero dei falsi.
Con la voce ferma e i documenti in mano, Christian Parisot, archivista – come ama definirsi – presidente degli Archivi Modigliani, spiega che le analisi fatte dai Carabinieri si sono fermate alla superficie dei quadri. Eppure Modì dipingeva spesso su tele usate, quindi lavorate più volte. I laboratori del Louvre confermano. E il pigmento? A suo dire, esisteva già nel 1908, artigianalmente. Dal 1918 fu ampiamente diffuso. “Altro che postumo”, dice Parisot. “Altro che falso.”

E poi c’è la guerra fredda – o caldissima – tra esperti di Modigliani. Parisot contro Marc Restellini, l’altro grande esegeta del pittore. Restellini, che nel 2017 contestò la mostra al Palazzo Ducale di Genova, sostenendo che molte opere fossero false. Ma il tribunale ha assolto tutti: “Il fatto non sussiste.” E in tutto questo bailamme – carte bollate, pigmenti, analisi chimiche, odi personali – Modigliani rimane lì. Immobile. Sottile. Eterno. La sua arte, come un grido sordo, continua a parlare a chi ha il coraggio di ascoltarla. Si auspica, a questo punto, che la serie trasmessa dalla San Marino RTV abbia almeno il merito di ridare voce a quel grido.

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