Falsi all’Ara Pacis? Il sospetto diventa notizia ufficiale. Ma le indagini sono ancora in corso

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Roma, oggi. Con un comunicato stampa diffuso nelle prime ore del mattino, la Guardia di Finanza ha reso pubblica la notizia delle indagini sui possibili falsi scultorei esposti all’Ara Pacis nel 2023 durante la mostra Lex – Giustizia e diritto dall’Etruria a Roma. Notizia rilanciata a tambur battente dalle agenzie di stampa e dalle testate giornalistiche più disparate.

Riportiamo integralmente il contenuto del comunicato, così come diramato dalle autorità competenti:

“A seguito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica capitolina, Finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno sottoposto a sequestro, per l’ipotesi di reato di contraffazione di beni culturali, alcune opere in marmo esposte nel corso della mostra dal titolo “LEX giustizia e diritto dall’Etruria a Roma” tenutasi dal 27 maggio al 10 settembre 2023 presso il Museo dell’Ara Pacis di Roma (non sottoposto a indagini).
Le investigazioni, svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, sono state avviate a seguito di mirati approfondimenti finalizzati alla prevenzione del riciclaggio di capitali illeciti nel settore del commercio di opere d’arte. Dagli accertamenti eseguiti è emerso che le opere esposte nel citato evento culturale, presentate come risalenti al I sec d.C., sarebbero in realtà mere riproduzioni di epoca moderna.
L’attribuzione dell’epoca archeologica è stata ulteriormente documentata con la divulgazione di una pubblicazione illustrativa delle opere, distribuita in numerose biblioteche ed enti culturali nazionali, nonché commercializzata nelle librerie e sui siti di shopping online. Al riguardo le pubblicazioni in argomento sono state sequestrate dai Finanzieri del Nucleo P.E.F. di Roma, in tutto il territorio nazionale, in ragione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Roma.
La misura cautelare, oltre a scongiurare il grave rischio di nocumento e mistificazione del patrimonio culturale italiano, ha permesso di evitare che le opere potessero essere immesse sul mercato dei beni archeologici, grazie alla fuorviante attribuzione storica, a un valore economico di gran lunga più elevato di quello effettivo.
È doveroso sottolineare che la misura cautelare è stata disposta nell’ambito della fase delle indagini preliminari e, allo stato delle attuali acquisizioni probatorie e in attesa di giudizio definitivo, vale la presunzione di non colpevolezza degli indagati.
Nulla osta A.G.: concesso”.


La notizia, ora ufficiale, conferma quanto già avevamo riportato lo scorso 7 marzo, in merito al sequestro di alcune opere ritenute sospette e del relativo catalogo, diffuso nel circuito editoriale e culturale nazionale. Già allora erano emersi elementi che lasciavano intendere la portata potenzialmente delicata del caso.

Va detto, con chiarezza: il Museo dell’Ara Pacis non è sotto indagine. E le responsabilità personali, come pure l’effettiva autenticità delle opere, sono ancora da accertare. Siamo nella fase preliminare di un’indagine complessa e nessuno può esprimere giudizi affrettati. Restano tuttavia le perplessità.

Nel contesto di un settore — quello delle mostre archeologiche — la vicenda solleva interrogativi profondi sul sistema di verifica, sulle catene di responsabilità e sul ruolo della comunicazione. Sortisce sconcerto anche il solo sospetto che vestigia dell’antichità siano state spacciate come autentiche. Pezzi che, secondo gli inquirenti, potrebbero essere semplici riproduzioni moderne travestite da gloria imperiale.

Per chi volesse approfondire, riproponiamo oggi i due articoli già pubblicati sul tema: uno rivolto al pubblico italiano, l’altro pensato per i lettori internazionali. Non in cerca di colpevoli, ma di chiarezza.

Perché raccontare è un dovere. Ma capire è un’urgenza.

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