La distruzione dei Mausolei di Timbuktu
Risale al 2012 la distruzione dei mausolei e delle moschee di Timbuktu condotta dal jihadista Ahmad Al Faqi. Alla catastrofe seguirà la prima sentenza della Corte penale internazionale contro la distruzione del patrimonio culturale
Risale al 2012 la distruzione dei mausolei e delle moschee di Timbuktu condotta dal jihadista Ahmad Al Faqi. Alla catastrofe seguirà la prima sentenza della Corte penale internazionale contro la distruzione del patrimonio culturale
Nel 1998 l’Unesco accolse sotto la propria egida i tesori della città maliana, secondo i criteri qui personalmente tradotti:
– Le moschee e i luoghi sacri di Timbuktu hanno svolto un ruolo essenziale nel processo di islamizzazione in Africa nel primo periodo;
– Le tre grandi moschee di Timbuktu, restaurate da Qadi Al Aqib nel corso del 16° secolo,
sono testimoni del periodo d’oro vissuto dalla capitale intellettuale e spirituale, al tramonto della dinastia Askia;
– Le tre moschee ed i mausolei costituiscono una sorprendente testimonianza dell’architettura urbana di Timbuktu, dell’importanza assunta dalla città quale centro di rilevanza commerciale, spirituale e culturale lungo la rotta commerciale trans-sahariana
meridionale, e delle tradizionali e peculiari tecniche di costruzione.
Nel 2012, nel Mali scoppiò la guerra civile. L’Ansar Dine – organizzazione terroristica operante in stretto contatto con Al Qaeda e contemplante tra i suoi leader Al Mahdi – prese il potere. I terroristi sostenevano una rigida applicazione della sharia, secondo la quale gli edifici dedicati al culto di santi erano considerati idolatri.
La preoccupazione della comunità internazionale sfociò nella decisione che il Comitato del patrimonio mondiale assunse nel corso della 36 sessione°. I tesori culturali di Timbuktu vennero difatti inseriti nella lista Unesco dei beni culturali in pericolo. Ciò scatenò la reazione del gruppo fondamentalista che si scagliò con furia contro di essi. Molti dei beni distrutti erano iscritti nella lista Unesco.
Nel 2016, la Corte penale internazionale ha emesso nei confronti di Al Mahdi la sentenza di condanna, sulla base di quanto stabilito dall’articolo 8, comma 2a (iv) e 2b (ix) dello Statuto di Roma. Le norme richiamate stabiliscono che per «crimini di guerra» si intende:
la distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente, nonché dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all’educazione, all’arte, alla scienza o a scopi umanitari, a monumenti storici, a ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari.
Per la prima volta nella storia, un tribunale internazionale ha qualificato la distruzione intenzionale del patrimonio culturale come crimine di guerra. L’intero processo si è soffermato esclusivamente su questa barbarie. Con la sapiente ricostruzione promossa dall’Unesco nel 2014 i tesori culturali della città sono tornati a rappresentare il centro di irradiazione culturale
Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici